Sono un padre, prima che un giornalista. Non è stato facile decidere di mettere online il video in cui viene immortalato l’incidente avvenuto sabato sera, costato la vita a un ragazzo di 17 anni: un bravo ragazzo. La pubblicazione di ciò che era già diventato virale sui social network ore prima, è stata dettata proprio da queste due semplici considerazioni.

Pikka era un bravo ragazzo e per questo abbiamo cercato qualcuno che lo conoscesse bene in modo da raccontare la sua indole altruista e gentile. Ci è sembrato opportuno evitare che chiunque si cimentasse in commenti fuori luogo sul 17enne, solo perché accomunato ai teppisti della sua età: “tutti drogati e alle prese con il delirio dell’incoscienza”. Commenti sparati senza sapere come fossero andate davvero le cose. Ne abbiamo letti tanti altri di giudizi fuori luogo, ma non possiamo sempre alleggerire gli altri dalla responsabilità delle cose che dicono.

Il video riprende la dinamica, non la disperazione. Nelle immagini non si vedono corpi straziati o sangue e né si ascoltano lamenti o urla disperate. Fosse stato così, come già successo, non lo avremmo pubblicato. Il video in questione immortala la dinamica dello scontro e può essere un documento importante per chi sta conducendo le indagini sull’incidente. Da padre, avrei preferito sapere, piuttosto che vivere col rimorso di dover inseguire la verità. In questa storia e nelle altre delicate che vi raccontiamo, i like non c’entrano niente. Non ci vedrete mai sventolare la schermata delle visualizzazioni ottenute con la morte. La decisione di rendere pubblico il video, sta piuttosto nella voglia di contribuire alla ricerca della verità, per quell’insana voglia di approfondire ciò che accade, evitando di trasformarci tutti in veline.

Infine, due considerazioni sul nostro moribondo mestiere, quello del cronista, scaturite dal commento su Facebook del direttore di una testata online e dalla telefonata di un noto fotoreporter barese. Il primo ha scritto che per scelta ha dato la notizia sull’incidente abbinata volutamente a una foto di repertorio. Un incidente, tra l’altro mortale, raccontato con un’immagine di repertorio: abominio della cronaca.

L’altro, invece, qualche ora dopo mi ha chiamato al telefono raccontando di essersi pentito. Ma pentito per cosa cosa? Per aver sottovalutato l’incidente, avendo quindi scelto di non andare sul posto a fare qualche scatto allo schianto mortale. La morte di un ragazzo di 17 anni, non può essere annoverato come uno dei tanti da viabilità e traffico. Nel giornalismo, così come nella vita, siamo noi a decidere ciò che siamo o vogliamo diventare. Dal canto nostro, abbiamo scelto da sempre di non essere ipocriti, anche quando sarebbe più comodo mettere foto di repertorio o starsene a dormire, evitando minacce di morte, querele e immani rotture di scatole.

A differenza di tante altre storie, questa può avere un epilogo reale, non solo immaginato o ricostruito, spesso con elementi superficiali o confusi. Non abbiamo espresso idee, solo raccontato i fatti. Fatti a cui non si può fuggire.