A un giornalista di strada può capitare di imbattersi in spacciatori, prostitute e venditori abusivi, alimentando la voglia di raccontare quelle vite ai margini, per scelta o costrizione. Il nostro lavoro crea indigazione, condivisione, rabbia, critiche feroci e riflessioni di ogni tipo. Tutti a scrivere il loro pensiero accompagnando il post su Facecebook, la storia su Instagram o cinguettando su Twitter.

Tutti, senza alcuna distinzione, fino a quando la prostituta, l’abusivo e lo spacciatore si trasformano in padri, figl, fratelli, zii, nonni, mamme e sorelle. A quel punto il lavoro del giornalista è deprecabile e i commenti prendono un’altra piega. All’improvviso il racconto della verità diventa una violazione della privacy. “Cancella il video”, oppure “Elimina il pezzo”, nel caso peggiore “Se non lo fai ti denuncio” o “Ti porto in Trubunale”. Sì, proprio così.

All’improvviso abusivismo, prostituzione e spaccio di morte – tanto per citare alcune delle categorie – sono un modo “innocente” per tirare avanti. Il mondo si è capovolto. “Togli il video perché mia madre, la prostituta, potrebbe essere cacciata di casa”, ma pure “Cancella il pezzo perché Gianni vendeva hashish, marijuana e cocaina, ma non eroina” come riferito dai Carabinieri prima dell’ordinanza di custodia cautelare. Ma non è tutto. “Togli il video perché mio zio è un abusivo, ma il problema tuo qual è?”.E chi se ne fotte del motivo di quell’interesse, mentre la politica e le istituzioni lasciano che tutto vada avanti per inerzia.

Non importa se l’annuncio per il sesso senza protezioni sia pubblicato sul più noto sito di incontri sessuali visualizzato da milioni di persone al giorno; non è rilevante neppure il fatto che l’abusivo sappia bene di poter incorrere in una multa; men che meno ha rilevanza l’attività generica di spaccio anche a ragazzini. Ciò che è davvero insopportabile non è l’attività stessa, ma la traccia di quella attività illecita, ma innocente, che il giornalista lascia sul web.

L’assillo non è temporaneo, perché a un certo punto della storia arriva il diritto all’oblio: la cassazione del reato o del comportamento deplorevole, anche in presenza di condanna. La privacy di chiunque vale sempre e comunque più del lavoro del giornalista, soprattutto di quello aggredito da un troglodita con l’auto in doppia fila, ma sotto processo – in Tribunale non sui social -, perché a voce si è permesso di dirgli le cose pane al pane e vino al vino.

L’Italia è distante dai primi posti della classifica sulla libertà di stampa? Tranquilli, andrà sempre peggio. Senza uno stipendio adeguato e la necessaria protezione, sempre più giornalisti faranno la scelta di passare comunicati stampa e veline, boicottando l’unico vero campo di battaglia: la strada e il contatto con la gente.