Sono stati disposti dal gip del Tribunale di Bari Angelo Salerno altri 6 mesi di indagini in merito all’omicidio di Benedetto Petrone, il giovane militante comunista ucciso il 28 novembre 1977 in piazza Massari da quella che venne definita negli atti “una squadraccia fascista”.

Stando al magistrato, che ha respinto la richiesta di archiviazione fatta dalla Procura di Bari nel novembre scorso, “il reato non può considerarsi prescritto perché aggravato dai futili motivi e dalla crudeltà“. Il gip non concorda con la ricostruzione enucleata dalla difesa delle parti offese, Anpi e Porzia Petrone, sorella della vittima, rappresentata dall’avvocato Michele Laforgia, che ha promosso la riapertura delle indagini 5 anni fa. “Pur accedendo alla ricostruzione secondo cui l’omicidio concorrerebbe con il delitto di ricostituzione del partito fascista, non sarebbe ravvisabile un nesso teleologico tra i due fatti”, spiega il giudice, sostenendo così che il commando non avrebbe ammazzato Benedetto per motivi politici.

Sulla base di queste considerazioni, il gip ha disposto di identificare tutte le persone che quella sera avrebbero agito in concorso con Giuseppe Piccolo, l’unico all’epoca riconosciuto colpevole, in quanto l’esecutore materiale dell’omicidio; quest’ultimo venne condannato inizialmente a 22 anni di reclusione, poi diventati 16 in appello e nel 1984 si suicidò in carcere.

Sono passati 45 anni da quel 28 novembre 1977, quando la vita del giovane Benedetto Petrone, militante comunista, fu spezzata a suon di coltellate all’addome e sotto la clavicola in piazza Massari a Bari. Quell’omicidio si consumò nel corso di “un’azione collettiva preordinata, espressione dello squadrismo fascista per ristabilire il controllo del territorio”, scrisse la Procura. Assieme a Piccolo furono condannati anche 4 presunti complici, ma nel corso dei due processi non venne riconosciuta loro l’aggravante dei futili motivi.