Sono passati 45 anni da quel 28 novembre 1977, quando la vita del giovane Benedetto Petrone, militante comunista, fu spezzata a suon di coltellate all’addome e sotto la clavicola in piazza Massari a Bari. Quell’omicidio si consumò nel corso di “un’azione collettiva preordinata, espressione dello squadrismo fascista per ristabilire il controllo del territorio”, scrisse la Procura. Benedetto fu ucciso tra i vicoli della città vecchia, per mano di di Giuseppe Piccolo, esecutore materiale, condannato inizialmente a 22 anni di reclusione, poi diventati 16 in appello; quest’ultimo nel 1984 si suicidò in carcere. Assieme a Piccolo furono condannati anche 4 presunti complici, ma nel corso dei due processi non venne riconosciuta loro l’aggravante dei futili motivi, motivo per cui la Procura oggi è del parere che qualsiasi reato abbiano commesso sarebbe prescritto.

Questo caso sembra destinato a non chiudersi. Si legge su Repubblica che il magistrato non ha accolto la richiesta d’archiviazione delle indagini chiesta a novembre scorso proprio dalla Procura; il giudice Angelo Salerno ha inoltre disposto un’ulteriore udienza il 4 luglio per parlare del caso in camera di consiglio, dove probabilmente i pm avanzeranno ancora la proposta di archiviazione. In questa sede il gip potrebbe avviare un processo bis che potrebbe portare all’imputazione di altri esponenti dell’estrema destra barese coinvolti all’epoca in quell’omicidio.

Si tratta al momento dell’apertura di un fascicolo a carico di ignoti, pur essendo palesi già al momento della richiesta di chiusura del processo chi siano gli altri sospettati che avrebbero partecipato all’agguato. L’apertura della nuova inchiesta è stata spinta dall’avvocato Michele Laforgia che ha presentato una memoria per conto della famiglia Petrone e dell’Anpi. Stando agli inquirenti, negli anni vi sarebbero stati in seno al processo dei limiti procedurali che non hanno consentito di imputare i presunti coinvolti nell’uccisione di Benedetto.