Tapparelle chiuse perché dall’altra parte il guano ha invaso il parapetto, cartacce dappertutto, caditoie piene di rifiuti, fioriere usate come posacenere. Benvenuti all’ospedale pediatrico Giovanni XXIII di Bari, emblema di una città che non riesce a liberarsi dalla sporcizia, anche da quella culturale che sembra rendere gran parte dei baresi indifferenti a ciò che li circonda.

Siamo al piano terra, nella zona dei distributori automatici e della Cappella, il posto del conforto per eccellenza. L’altra faccia della tintarella e dei tuffi in mare è la domenica in quello che ostinatamente si continua a chimare ospedaletto, probabilmente un vezzeggiativo per far sembrare tutto diverso, migliore di ciò che è.

Sì, perché a misura di bambino, nella struttura ospedaliera di via Amendola c’è poco, fatta eccezione per l’umanità di tanti medici, infermieri e operatori socio sanitari. Un Pronto soccorso sguarnito nei momenti più caldi; pazienti costretti a passare giorni e giorni al telefono per poter comunicare in reparto i risultati delle analisi, in modo da poter avere la fondamentale dieta di un bambino affetto da fenilchetonuria; una miriade di storie di malasanità. Troppo per riuscire a farsi bastare le eccellenze, che pure ci sono.

Tante promesse, pochi risultati. Così pochi da far apparire l’abbattimento di decine di pini, scatenando le ire dei residenti di via Hahnemann, la migliore delle riqualificazioni possibili per quel parcheggio letamaio, da dove sono spariti Franco e Saverio. Sono gli abusivi storici. Non si vedono da venerdì. Nei reparti si mormora del loro allontanamento coatto. Non sappiamo fino a quando. Ennesimo intervento dimostratosi inefficace un sacco di altre volte.