«Chi mi conosce mi sa non attaccato all’esaltazione del campanile del suo paese e dico quello che ora segue senza voler a tutti i costi difendere il Conservatorio nel quale mi onoro di insegnare, ma per testimoniare fatti reali. Una scrofa di cui non voglio fare il nome non tanto per non subire querele, ma per non sporcarmi dita e tastiera con parole laide come il suo nome, ha detto ancora una volte delle scempiaggini volgari, truci, schifose, inumane, bigotte, tamarre, cafone, da donnaccia infoiata nei sensi pur spenti dall’età che avanza». Nicola, docente al conservatorio Nicolò Piccinni di Bari, con un lungo post su facebook non le manda certo a dire alla collega, mai chiamata in causa direttamente per nome seppur il riferimento è evidente, che sullo stesso social network aveva commentato la strage di Orlando sentendosi sollevata per i tanti bambini così salvati dalle molestie.

«Nella scuola era considerata una persona ridicola e poco rispettabile – prosegue il post – insegnava pessimamente ad interpretare teatralmente cose legate alla lirica, in virtù di una sua esperienza, per la verità molto mediocre e di serie tra la S e la T di cantante d’opera. Aveva una bella voce non accompagnata, come è evidente da ciò che dice e da come lo dice, da quella base minima e decente di cultura e sensibilità intellettiva che di una persona di buona voce fa una musicista».

«Il Conservatorio di Bari è una scuola che ha avuto un’impronta talmente potente dal suo più illustre direttore, Nino Rota – rimarca il professore – che anche dopo quarant’anni circa dalla sua morte, la maggior parte dei docenti, che furono in passato allievi della scuola sotto la direzione rotiana, ognuno con le proprie capacità e caratteristiche, cercano di mantenere fede ad una concezione della musica e del lavoro del musicista nonostante le pessime intenzioni ministeriali, che con riforme deformi e deformanti attentano costantemente alla vitalità positiva dell’istituzione conservatoriale ed oggi più ancora che ieri, quando bastavano scartafacci e titoli più o meno validi per attribuire insegnamenti a chi non meriterebbe nemmeno di lavare i cessi nella scuola».

«Ricordo che Rota  – racconta nel post – a chi per graduatoria avrebbe avuto diritto, ope legis, di insegnare a Bari, lui stesso, se certo e sicuro dell’incapacità della persona, telefonava per convincere il soggetto in questione, a ritirare la sua domanda. Ad un allora illustre sedicente compositore, famoso per non saper insegnare fuga e contrappunto, onde i suoi allievi di altro conservatorio dovevano andare a lezioni private a pagamento, Rota negò il trasferimento a Bari, e mi disse che sarebbe stata una forma di disonestà intellettuale, deontologica ed etica, chiamare all’insegnamento chi era noto non esserne all’altezza. E la persona in questione, politicamente molto appoggiata, non gli era nemmeno antipatica. A me fece ripetere la licenza di solfeggio perché il sette non era adeguato alle sue aspettative circa la mia condotta scolastica, e già allora componevo per orchestra cose che furono anche viste ed apprezzate da musicisti come Gianfrancesco Malipiero e perfino Igor Stravinskji, di cui era amicissimo e che per mezzo suo potei conoscere di persona nella sua ultima venuta in Italia….. ma la licenza di solfeggio fu ripetuta…. e non c’erano storie! Immaginate per attribuire un insegnamento quanta severità applicasse».

«Poi in Italia, dove più e dove meno, tutto è peggiorato – considera amaramente Nicola – mancando un’educazione alla musica degna di questo nome fin dalle scuole materne, diversamente da tutto il resto del mondo civile, si dovette allargare la popolazione scolastica e la classe docente per dare la possibilità di studiare nella scuola pubblica anche a chi non intendesse abbracciare la professione musicale, ma solo imparare a suonare per propria elevazione interiore e cultura. Io, dopo trentacinque anni di insegnamento, nei momenti di dubbio nel giudicare un allievo, per consigliarlo ed indirizzarlo, e magari per dirgli in tempo utile che non ha doti sufficienti – non talento, perché le doti sono altra cosa, ben più ponderata e da incentivare con studio e disciplina, che non una puramente istintiva predisposizione o facilità – per lavorare con la musica, in queste circostanze mi chiedo:”il Maestro Rota cosa direbbe a tal proposito?”. Posso garantire che siamo ancora molti della ‘vecchia guardia’ rotiana ad agire ed insegnare in tal guisa. Non starò qui a citare i musicisti di valore che da Bari originano o che a Bari insegnano o insegnarono: da Riccardo Muti a Michele Marvulli a Marisa Somma, Pierluigi Camicia, Benedetto Lupo, Gino Ceci, Emanuele Arciuli, Gregorio Goffredo, Pasquale Iannone, e mi perdonino tutti gli altri che non posso nominare per non annoiare chi mi legge, e solo limitandomi a citare i pianisti, zoccolo duro della nostra scuola, i cui allievi si affermano costantemente a livello internazionale».

«La sciagurata  – torna alla collega – non sarebbe mai stata accettata in passato nel corpo docente e lo poté solo in virtù delle leggi, livellatrici in basso, di attribuzione degli insegnamenti. La svaccata cretina ebbe una voce molto bella, non enorme, ma cantava con discreto istinto. Fu abbastanza spinta ad un certo punto da Celletti ma non ne ricavò molto…..et de hoc salis. Come insegnante, a chi doveva impersonare la folla che si stupiva per le baggianate di Nemorino diceva: ‘che vi devo dire… fate la faccia del caz…o!” ed ad un tenorino che nel duetto di fine atto primo di Bohéme doveva interloquire con Mimì in cerca della smarrita chiave della stanza, consigliava:” e tu fai (sic) qualcosa, guardale il culo!” ed ad una giovane collega principiante diceva che per fare carriera oltre alla voce ci si poteva aiutare con un po’ di tette ed un po’ di culo….. ed ora fa la moralizzatrice».

«Se pur cantò gradevolmente e con voce non da buttare -conclude il lungo post Nicola –  i suoi sproloqui rendono tutto ciò che emise dalla bocca latrati di cagna sguallariata – mi si consenta il temine partenopeo – e coccodè di gallinaccia manco più buona per il brodo…. Ma il Conservatorio di Bari non è questo e con quel cesso di persona – sit venia verbo – non ha niente a che fare. Abbiamo anche noi i nostri problemi e le nostre falle, ma sono quelle di una umiliata scuola, musicale e non, italiana. Ma questo è un altro discorso».