Sono passati quasi 7 anni da quel 12 luglio 2016, quando lungo la tratta Andria-Corato delle Ferrovie del Nord Barese il treno ET1016 proveniente da Corato, e l’ET1021 proveniente da Andria, entrambi su un binario unico, si sono scontrati, provocando la morte di 23 persone e il ferimento di altre 51. Ieri, 15 giugno, il Tribunale di Trani ha emesso la sentenza nei confronti dei 16 imputati, assolvendone 14 e condannandone 2, ovvero il capostazione di Andria, Vito Piccareta, a 6 anni e 6 mesi di carcere, e il capotreno del convoglio diretto a Corato, Nicola Lorizzo, a 7 anni. Entrambi dovranno risarcire le parti civili. Tutti assolti gli altri accusati, così come l’azienda Ferrotramviaria che gestiva quelle linee, prosciolta anche dall’illecito amministrativo “perché il fatto non sussiste”. Tuttavia, alla società toccherà risarcire le vittime dell’incidente e le altre parti civili.

Stando all’accusa lo scontro frontale fra i due treni fu determinato da un errore umano e da mancati investimenti del valore di 664mila euro per la sicurezza e l’ammodernamento del sistema ferroviario, all’epoca regolato ancora dal sistema di blocco telefonico, definito “non sicuro e obsoleto” dal pm Marcello Catalano, motivo per cui aveva chiesto 15 condanne a pene comprese tra i 12 e i 6 anni di reclusione e un’assoluzione. Eppure non è andata così e il dolore in chi resta, nei familiari delle vittime, è incoercibile dopo questa sentenza.

È una vergogna“. “Non è giustizia questa: li avete uccisi due volte“. “Non si vergognano? Ne sono morti 23“. “Come fanno a dormire la notte?“, queste le frasi urlate dai parenti in aula subito dopo la lettura delle prime assoluzioni. Alcuni non sono riusciti a trattenere le lacrime, altri, invece, sono rimasti impietriti, come Giuseppe Bianchino, il papà di Alessandra, 29enne morta nel disastro. “Non è una sentenza giusta“, ha detto singhiozzando Anna Aloysi, sorella di Maria, un’altra vita spezzata quel maledetto e torrido 12 luglio 2016.

È insopportabile che siano morte 23 persone per un risparmio di 664mila euro. È insopportabile anche sentire dire alle difese che il pubblico ministero e i suoi consulenti vivono nel metaverso, perché nel metaverso non ci sono i morti”. Queste le amare dichiarazioni del pm Marcello Catalano, dopo aver concluso le repliche della pubblica accusa nel corso dell’udienza.