Addio presidente Gianluca Paparesta. Meglio così, lo abbiamo detto in tempi non sospetti, prima ancora dei sospetti delle Procura sui soldi impiegati per comprare il Bari, salvandolo dal fallimento. L’ex arbitro di serie A ha inanellato una serie di errori, spesso frutto di arroganza non solo calcistica, tali da non poter pensare a un epilogo diverso da questo. E non chiamateci gufi.

I soldi non ci sono. La cosa peggiore è che probabilmente non ci sono mai stati e quindi per il bene del Bari si poteva alzare bandiera bianca un mese fa. Si sarebbe potuta evitare la corsa contro il tempo a cui si è costretti ora. È certamente la pugnalata peggiore che Paparesta potesse dare a Giancaspro, con il quale ormai si è arrivati al: “Chi sono io e chi sei tu”.

Controcorrente, quando gli altri tentavano di salire sul carro trainato da Paparesta senza una reale visione e quasi per niente da un Cda ininfluente; coerenti adesso, mentre in tanti scendono da quel carro per salire sulla carrozza di Giancaspro. Allora come oggi nessuna enfasi, ma il riconoscimento per il mancato fallimento, a chi cede e a chi subentra. Certo, non sappiamo se Giancaspro voglia davvero investire nel Bari o se la sua sia solo un’operazione speculativa, in attesa di un cinese o di un americano. Speriamo non un malese, datò l’epilogo da “Chi l’ha visto?” che ha fatto Noordin Amhad, l’uomo di non si sa quali meglio precisati affari, che avrebbe portato il Bari in Champions League nel giro di cinque anni.

Un altro cazzaro come i tanti transitati da Bari, accolti in grande stile da tutti, spesso con le lingue da fuori per strada e in modo ossequioso nei palazzi seri delle istituzioni. Foto di rito, targhe ricordo, orecchiette e San Nicola. A Nordin Amhad è mancato solo gli fosse datò la chiave della città. Il malese avrebbe dovuto investire fiumi di soldi nella Bari calcistica e nella città di Bari, invece ha lascito Paparesta col cerino in mano, a scottarsi e non poco. Da solo.

Del Bari di Paparesta, però, ci resteranno tante cose: le chiacchiare a mezzo Facebook, il logo fatto col tappo della birra, la squadra della meravigliosa stagione fallimentare smantellata in blocco, la comunicazione gestita come peggio non era possibile, il negozio dei gadget biancorossi chiuso dopo lo sgamo societario, le inchieste della magistratura. Insomma, poco a che fare col calcio giocato, mai eccessivamente esaltante. Diciamocela tutta la storiella.

Intanto, così come in occasione del funerale di Vincenzo Matarrese, assistiamo a un fenomeno ricorrente: il dietrofront delle facce di culo, quelli che fino a ieri: “Paparesta è il nostro presidente e Giancaspro è un ricottaro” e oggi “Paparesta è un traditore, benvenuto Giancaspro”. È mancata l’umiltà di chi dal nulla è diventato presidente e la moderazione dei tifosi, pronti ad assecondare ogni capriccio di quel presidente-padrone, seppure affrontato a muso duro quando tardivamente c’è stato da contestarlo. Peccato, perché sarebbe potuta finire in un’altra maniera. Addio presidente Paparesta, meglio così.