E lo so, allo stomaco, come al cuore, non si comanda. Queste cene in bianco mi risultano indigeste e non c’è bicarbonato che tenga o che possa. Sin dalla più tenera infanzia, del resto, ho come un blocco all’altezza del piloro se mi capita di dover osservare un dress code qualsiasi. Per la prima Comunione (la mia) scoppiò un caso diplomatico con la parrocchia: non capivo perchè mai mi dovessi bardare come una monaca, velo compreso, per qualcosa che non aveva nulla a che vedere con la cerimonia in quanto tale.
In effetti: spesso sento che si pretende di strappare il velo dalla testa delle musulmane e poi spendiamo migliaia di euro per un cencio di tulle, il giorno del matrimonio. Amabili contraddizioni, ma il mio stomaco ne soffre: mi prende come un crampo nervoso.
E poi: il bianco. Perchè? Uniformarsi e distinguersi per non farsi confondere con i cozzali concittadini? Può darsi, ma allora la maggior parte dei partecipanti dovrebbe ammutolirsi per tutta la serata perchè appena aprono le garrule bocche affiorano dai precordi pezzenti arrichisciuti, i fiori e i florilegi della maxima ignorantia cordis et mentis.
E ancora: tovaglie bianche, bicchieri di cristallo, posate di argento (!!!) o al massimo in acciaio, piatti di ceramica, tovaglioli di stoffa. Solo vino e niente birra e per carità niente plastica…..e tu pensi, ecco il cuore ecologista ed essenziale, l’animus nobile che sostiene l’anima gentile dei Veri Signori…e fai fatica a non sovrapporre questa scena quasi preraffaellita con il caciarume ingioiellato e impellicciato persino ad agosto che sciama dal Petruzzelli dopo aver vanamente assistito a qualcosa, magari applaudendo fra un tempo e l’altro e dimenticando di spegnere il cellulare, sul quale hanno già fatto dieci selfie con la commara del marito avvocato o primario, fingendo di non saperlo.
Perchè sono gli stessi e le stesse, solo che in queste cene in bianco sono tutti vestiti e calzati di bianco, avvolti di sciarpette bianche, abbelliti con monili bianchi e le signore hanno anche fiori bianchi fra i capelli, manco dovesse passare Degas a rappresentarle come ballerine dell’Opera di Parigi. Distinguersi per non confondersi con la calca volgare e anonima che struscia sulle solite vie, Sparano, Cavour, come fossimo sempre e per sempre nel paesone della provincia che volle farsi città metropolitana.
Moltissimi fingeranno di preparare con le loro manine sante: ne sanno qualcosa i catering baresi (e ne ho un paio a pochi metri dalla mia redazione) che stanno facendo gli straordinari per acconciare nelle teglie di ceramica bianca lasagne bianche, insalate di riso, sformati di ogni natura, budini e panne cotte. Tutto per una serata “speciale”, in una città normalmente orripilante, che non ha servizi sociali degni di questo nome, con un servizio di trasporto pubblico da barzelletta sporca, strane percentuali di raccolta differenziata e decine di strade invase dai sacchetti. E, per favore, niente animali o bambini, come fossimo al Conclave.
No, non ce la farei proprio. Una cena in bianco che mi resterebbe piantata sul piloro almeno per un anno. Non è invidia sociale, lo giuro. E’ che ho lo stomaco troppo delicato per sostenere uno spettacolo simile.