«Confido nella giustizia e spero che queste persone ricevano il trattamento che meritano. Ma è anche la città che deve reagire. Non possiamo continuare a subire tutto questo. Non possiamo convivere con queste persone come se nulla fosse, li conosciamo, sappiamo chi sono, abitano nella porta accanto alla nostra e li salutiamo quando li incontriamo. È arrivato il momento di dire basta, di puntare il dito contro queste persone, si devono vergognare, devono sentire il peso dei nostri sguardi. Sguardi che devono togliergli la pelle dal corpo. Solo così riusciremo a liberare la nostra città da queste persone piccole che si sentono grandi e pensano di avere potere solo perché hanno una pistola in tasca. Io voglio dire basta e spero che tutti i baresi scelgano di dire basta insieme a me».

A Bari, quartiere Libertà, è stato ucciso, con tre colpi di pistola, un giovane di 25 anni, incensurato e con i documenti in ordine. La dinamica non è ancora completamente stata chiarita: pare fosse stato coinvolto poche ore prima in una rissa fra ragazzini. Lui sarebbe intervenuto per sedare e avrebbe dato uno schiaffo a uno dei contendenti. Gli inquirenti pensano che sia intervenuto, a vendetta dello sgarro, un gruppo di familiari che avrebbero lavato con il sangue l’imprudente offensore. Il quartiere Libertà è forse il luogo più emblematico di Bari, oggi. Vi convivono splendore e degrado, innovazione e arretratezza, culture e subculture urbane, convivenza di lingue, religioni, colori e calori diversi, eroismo e malaffare. Clan urbani, malavita, educatori sociali. Scuole vere e strada, di tutto e di più.

Encomiabile l’invito a ribellarsi ad una popolazione che, non solo al Libertà, è drammaticamente spaccata in due: da una parte chi cerca di fare sempre e comunque il proprio dovere e di trasmettere questo principio superiore anche ai figli o ai più giovani; e dall’altro chi ha come unico scopo dell’esistenza quella di danneggiare il bene comune, arraffando il più possibile, sfruttando, evadendo il fisco, commerciando armi o droga, speculando sulla disperazione altrui, commercianti in rovina o giovani prostitute che siano.

L’unico elemento in comune che hanno questi due emisferi contrapposti del corpo sociale è che molti (sempre di meno a dire il vero) votano. Poi non c’è granché di altro. Se Antonio Decaro vuole che la gente per bene si ribelli a quella per male, dovrebbe dare l’esempio e non limitarsi al proclama ad effetto, scritto nella chiave “media” del “cittadino qualunque” consigliatagli da chi gli cura la comunicazione. Cominci lui a ribellarsi e a dare l’esempio. Faccia immediatamente chiarezza in tutte le situazioni d’ombra che convivono con la sua amministrazione, ma lo faccia subito, rinnciando per una volta alla politica dell’annuncio e del “futuro perenne” (faremo, diremo, saremo, provvederemo) che non diventano mai presente e poi passato.

Metta fine, per esempio, allo scandalo Amtab, una macchina mangiasoldi improduttiva e pericolosissima per cittadini e lavoratori, si occupi di tutte le aziende partecipate, ci convinca che nella sua Giunta non ci sono conflitti di interesse in almeno un paio di assessorati (per esempio Welfare e Attività produttive), oppure cambi le assessore che ha scelto forse con troppa fretta e per accontentare qualcuno del suo partito; potenzi da subito i servizi sociali laddove sembra che Comune e Stato hanno rinunciato da lustri ad essere presenti (trasformando l’intera città, centro compreso, in un’unica immensa periferia); metta in condizione i Municipi di lavorare perchè il decentramento non sia solo solo un’espressione suggestiva ma vuota: forse le “giunte territoriali” non sono sufficiente a far davvero compredere che “il Sindaco siamo noi”.

Perchè noi siamo anche quei ragazzini rissosi, fra cui lo schiaffeggiato, siamo la famiglia che si è sentita offesa, siamo l’assassino che ha sparato tre colpi, siamo il giovane incensurato caduto nel suo sangue. E a ribellarci, da soli, non ce la facciamo.