Elena Improta, madre di Mario, un ragazzo con gravissima disabilità, in questi giorni ha reso pubblica la sentenza definitiva, arrivata dopo 27 anni, del procedimento giudiziario intentato contro la struttura sanitaria Villa Mafalda, a Roma, dov’è nato suo figlio Mario, che la condanna a pagare le spese processuali per una somma di circa 300mila euro. La causa doveva accertare eventuali responsabilità sanitarie durante il parto, che avrebbero provocato danni, generando la gravissima condizione di disabilità dell’ormai 34enne. Questa sentenza mette a rischio, oltre alla qualità della vita di Mario, che necessita di molte attenzioni assistenziali, l’esperienza “Oltre lo Sguardo APS”, l’associazione avviata da Elena e grazie alla quale, in questi anni, ha potuto offrire diverse soluzioni abitative per persone con gravi disabilità. Elena, che non possiede i soldi richiesti dalla condanna, ha iniziato uno sciopero della fame che ha l’obiettivo di tutelare suo figlio Mario.

Il post Facebook di Elena

Esiste una verità ed è che 34 anni fa dalla cartella clinica di Villa Mafalda è sparita un’ora e più di monitoraggio fetale – inizia così il racconto straziante di Elena –. La verità è che Mario non spingeva, il parto non si apriva, che mi hanno ‘squartata’ con le mani e saliti sopra in quattro per farlo uscire. La verità è che è stato messo in incubatrice e gli è stato somministrato l’anticoagulante, la verità è che era sin da subito ipertonico e non riuscivo a vestirlo, la verità è che al settimo giorno ha avuto le prime crisi di cianosi e poi epilettiche, la verità è che piangeva disperatamente. Al compimento dei 3 mesi è arrivata la diagnosi: non parlerà, non camminerà, non potrà studiare, lavorare… Avevo 26 anni ed è cominciata la nostra esistenza di diversità”.
“Forse abbiamo avuto pessimi ‘consiglieri’ – continua Elena -, ma tutti i medici interpellati, da subito ed ancora oggi con prove certe a livello diagnostico, hanno escluso qualsiasi forma di malattia rara, genetica, degenerativa. Tutto ha – dopo varie perizie – portato ragionevolmente a confermare il nesso tra parto e sofferenza ipossico ischemica (assenza di ossigeno), ma non il nesso di negligenza dei medici e della Clinica. Erano altri medici, la clinica aveva un’altra proprietà e adesso dopo tre decenni sono stanca di cercare colpevoli.
Poi esiste la verità giudiziaria: dopo 27 anni, ripeto 27 anni, (tanto ci vuole per fare giustizia in Italia); abbiamo perso la causa. Ci sta e, pur consapevole del fatto che la nostra verità non era compatibile con quella giudiziaria, ho accolto il verdetto con grande rassegnazione e rispetto per la giustizia.
Dopo il verdetto è arrivata la condanna, violenta e inappellabile, dove mi si impone di pagare quasi 300mila euro di spese legali. Una cifra, lievitata con il passare degli anni, che io non ho (per assistere mio figlio ho dovuto rinunciare al lavoro), e non posso affrontare.
Mi appello alla azienda Villa Mafalda, alle assicurazioni, a tutte le contro parti: Avete bisogno dei beni di una persona disabile?
Volete veramente pignorare la casa destinata al durante e dopo di noi dove abitano persone adulte disabili, che hanno trovato lì una situazione di vita accettabile?
Vi invito a venire a parlare con noi, a conoscere dove viviamo e come viviamo e a cercare insieme a noi una soluzione per evitare di toglierci quel poco ossigeno che ancora ci resta“.