Ci sono infinite storie che raccontano vite umane semplici e, allo stesso tempo, straordinarie. Ci sono storie che danno voce a chi voce non ne ha, che raccontano battaglie. Ci sono storie che partono da paure e difficoltà, seminano speranze e costruiscono realtà nuove, più belle e accoglienti, che stringono ogni essere umano in un abbraccio di amore e di aiuto. Noemi una giovane mamma di Taranto, ci racconta Rayan, il suo bambino autistico di terzo livello, le loro giornate, gli ostacoli che incontrano quotidianamente, gli innumerevoli pianti, ma sicuramente la “voglia di un mondo migliore”.

Ciao Noemi, Lei è la giovane mamma di Rayan, un bambino autistico di 3 anni, le andrebbe di raccontarci la vostra storia? Quando è stata fatta la diagnosi di Autismo? 
“Quando Rayan aveva un anno e mezzo ho notato che il mio bimbo era diverso dagli altri. Decidemmo, con il mio compagno, di iscriverlo a un nido assicurandomi con le maestre di seguirlo particolarmente perché vedevo che il bambino non indirizzava lo sguardo verso nessuno, tendeva a ripararsi sempre dietro una tenda. Dopo il periodo di Natale, sono stata convocata dalla direttrice e dalla maestra del nido che mi consigliarono di fare dei controlli più approfonditi. Mi rivolsi a una neuropsichiatra infantile di Palagiano che mi ha comunicato la diagnosi di spettro autistico. Dopodiché ci siamo recati all’Asl di Taranto per inserire Rayan all’interno di un programma terapeutico pubblico, ma le attese erano molto lunghe. Allora ho pensato di diffondere una lettera sui social e in poco tempo sono riuscita a ottenere tutti i controlli: abr, risonanza magnetica, elettroencefalogramma, e indagine genetica. Il bambino è perfettamente in salute. Tuttavia, a livello cognitivo viene confermata la diagnosi definitiva di autismo di terzo livello, quindi grave, con associato ritardo globale, selettività alimentare e altre cose che rientrano nella diagnosi dello spettro autistico”.

Quindi fu lei ad accorgersene per prima. Il pediatra aveva sospettato qualcosa?
“No, mi disse di attendere che Rayan compisse 3 anni prima di indagare sulle condizioni psico-fisiche del mio bambino. Non l’ho fatto. Mi sono mossa prima, molto prima. Rayan aveva un anno e mezzo e sento di aver fatto la cosa giusta”.

Oggi Rayan ha 3 anni e frequenta la scuola materna. Ci sono state esperienze poco piacevoli nelle strutture frequentate da suo figlio in passato? 
“Sì. Quando Rayan ha frequentato il primo nido ha avuto delle spiacevoli esperienze. Notai che chi lavorava all’interno della struttura era impaziente di dirmi qualcosa. Mi inviò delle registrazioni in cui c’era mio figlio che dormiva per terra, da solo, su un tappetino da yoga. Avevano delle cullette, ma non le hanno mai usate. Ci tengo a precisare che questo è quanto ho visto dalle registrazioni che mi hanno inviato. Io non ero presente nella struttura, però notavo che Rayan entrava e usciva dall’asilo piangendo. Cosa molto strana perché capitava che spesso lo lasciavo anche da mia mamma e non è mai successo nulla. Sono andata in Polizia e ho portato le registrazioni nelle sedi opportune, ma l’asilo al momento è ancora aperto”.

Rayan inizialmente faceva le terapie a Mottola, in provincia di Taranto, con non pochi vostri sacrifici. Perché su Taranto non era possibile fare terapie?
“Io non ho la patente, quindi portavo il bambino in autobus a Mottola, con attese molto lunghe alle fermate. Su Taranto non ci sono i terapisti e le liste d’attesa nel pubblico sono infinite. Tuttavia, in seguito alla pubblicazione sui social della mia lettera sono riuscita a ottenere per Rayan due giorni a settimana di psicomotricità, il mercoledì e il venerdì, per 45 minuti”.

Solo psicomotricità? 
“Sì. Al momento della diagnosi i medici hanno consigliato di avviare il trattamento riabilitativo globale: da subito neuropsicomotorio e intervento educativo almeno due volte a settimana. Solo dopo i tre anni dovremo avviare anche quello logopedico”.

Nonostante abbia ottenuto l’avvicinamento delle terapie a Taranto, grazie anche alla sua lettera diffusa sui social, secondo lei Rayan avrebbe bisogno di altri trattamenti più specifici? 
“Spesso mi viene detto di intervenire subito, e io l’ho fatto. Ma dalla diagnosi che risale ad agosto 2022 a ora, ho ottenuto solo due incontri a settimana di 45 minuti l’uno per psicomotricità. Le sembra sufficiente? Io vorrei che a mio figlio, come tanti altri nella nostra situazione, venga concessa la possibilità di fare terapia almeno un’ora al giorno dal lunedì al venerdì. Non è giusto che per ottenere terapie giornaliere per Rayan io le debba pagare”.

Secondo lei la qualità della terapia del servizio pubblico è molto diversa da quella che offre una struttura privata?
“Secondo me sì. Nel privato c’è una maggiore attenzione, sei seguita e ti danno le spiegazioni che chiedi. Quando portavo Rayan dalla neuropsichiatra infantile di Palagiano, che è molto distante da me e difficilmente raggiungibile per me, la dottoressa registrava un video su tutto quello che faceva con il bambino durante la terapia e mi dava anche dei compiti da fare a casa. Contrariamente, nel pubblico se mio figlio si dà le testate al muro – perché sta cominciando a fare anche questo – e io mi reco alla Asl e chiedo al terapista il perché di questo atteggiamento, quest’ultimo mi risponde che non lo sa. Io non posso aspettarmi risposte simili, ho bisogno che mi venga detto come intervenire. La maestra di sostegno di Rayan mi chiede se il bambino è inserito in un programma di terapia. Anche la direttrice mi ha chiesto di coinvolgere il terapista di mio figlio a scuola, in modo tale da operare congiuntamente per il miglioramento del bambino sotto tutti gli aspetti: rendimento scolastico, psico-cognitivo e relazionale. Ma dall’Asl non è mai andato nessuno”.

Effettivamente è tutto vero quello che sostiene la scuola. È necessaria una collaborazione scuola/terapisti/famiglia. Quindi lei chiede che le terapie siano garantite a livello pubblico e che siano efficaci, in modo tale da non costringere una famiglia a pagare per ricevere delle terapie che funzionino realmente…
“Io credo che siano le strutture pubbliche a non funzionare. Ho avuto grossi problemi anche durante il parto. Ho partorito a 8 mesi con un taglio cesareo d’urgenza, in anestesia totale, perché si era perso il battito del bambino poiché avevo un’emorragia interna. Il bambino non aveva più liquido. Sono sorti mille dubbi sul parto. Spesso mi capita di pensare che le condizioni di Rayan siano dipese da quella mancanza di ossigeno”.

Qualche medico glielo ha ipotizzato? 
“Un neuropsichiatra, dell’Ospedale Vecchio di Taranto. Mi ha detto che il problema di Rayan poteva essere dipeso dalle dinamiche del parto. Ma non me l’ha mai voluto dichiarare per iscritto”.

Nei suoi appelli lei chiedeva di poter accedere alla terapia ABA, la considera una terapia efficace per Rayan? 
“Non me lo ha detto nessuno, però io noto grossi miglioramenti nei bambini che frequentano i centri di terapia ABA. Tuttavia, quando ho contattato uno di questi centri mi hanno chiesto circa mille euro al mese. Io penso che terapie così funzionanti dovrebbero essere a titolo gratuito”. 

La diagnosi di autismo interessa numerose famiglie, è proprio un dato in netta crescita. Anche Taranto conta numerosi casi, lei si è interfacciata con altre mamme che lamentano la sua stessa situazione? 
“Sì, siamo tantissime mamme e lamentiamo tutte lo stesso problema: i tempi lunghissimi per le terapie pubbliche e la poca considerazione anche negli svaghi per questi bambini. Se volessi portare Rayan in piscina, l’educatore dovrei pagarlo, perché è un servizio a carico delle famiglie. La stessa cosa vale per un centro estivo, in cui sono sempre le famiglie a dover pagare gli educatori. Questi bambini hanno bisogno che anche in estate il loro sviluppo cognitivo non si fermi, in modo tale da non vanificare gli sforzi compiuti durante l’anno scolastico. Se sommiamo tutti i costi per curare il bambino arriviamo a cifre da capogiro”.

Ci sono associazioni a Taranto che sostengono le vostre battaglie? 
“Ho fondato un gruppo con altre mamme allo scopo di organizzare iniziative per mantenere attivi i nostri bambini, visto che c’è poco interesse verso di loro a livello pubblico. Il 20 giugno prossimo ci sarà un evento ‘Babbo Natale in tenuta estiva’ presso la ‘Sala Incanto’ di Taranto che si è offerta di mettere a nostra disposizione la struttura gratuitamente, per donare un sorriso a questi bambini con disabilità. Personalmente sono anche affiancata dall’Associazione Cuamj. La presidente, la signora Maria Pia, mi sta molto vicino e sostiene le mie battaglie. Tuttavia, io penso che ci dovrebbero essere tante iniziative di questo genere con un maggiore coinvolgimento anche del Comune. Dato che si fanno numerose feste cittadine come quella della Birra Raffo o Battiti Live, l’amministrazione dovrebbe investire anche in eventi per questi bambini. Qui ai Tamburi, poi, la situazione è ancora peggio. Non so dove portare il bambino. Non ci sono giochi, ci sono tanti pericoli per strada, sparatorie ricorrenti. Non mi sento sicura a uscire da casa”.

Nei suoi appelli lei parlava della “situazione” che c’è a Taranto, le andrebbe di definirla meglio?
“C’è una brutta situazione, non c’è interesse per l’autismo e anche per altre disabilità. Sono dovuta ricorrere a una lettera sui social per avere tutto e immediatamente: diagnosi e terapie. Sono passata davanti a chi era in lista da tempo. E tutto questo non è giusto”.

Un bambino in crescita ha bisogno di una cura maggiore, i servizi sociali sono vicini alle famiglie con disabilità? 
“Sì. Nel nostro caso gli assistenti sociali hanno chiesto dei giochi al Comune di Taranto che ha stanziato una somma di circa 1000 euro per comprare materiale per le terapie di Rayan, anche giochi montessoriani, in legno. Ma non sono sufficienti perché dopo pochi giorni Rayan non è più stimolato e vorrebbe altri giochi. Più piccolo è il bambino e più ha bisogno di stimoli e una famiglia, per curare ogni aspetto della disabilità del proprio figlio, ha necessità di molte risorse economiche”.

Noemi, quanto avverte l’isolamento anche sociale, oltre che istituzionale? Pensa che l’autismo sia poco conosciuto su Taranto? 
“Sì, perché mi chiedono spesso cosa sia l’autismo, che cosa sia una stereotipia: ‘perché tuo figlio sfarfalla le mani?’, ‘perché tuo figlio è in un angolo anziché stare con gli altri?’. Questo perché non se ne parla a sufficienza. Spesso subentra anche il bullismo perché, non essendo informati sulle disabilità, vedere un bambino che ripete gli stessi gesti e si irrigidisce, desta molti sguardi tra i passanti”. 

Tra le mamme ha subito atteggiamenti di isolamento o accoglimento? 
“Molte mi sostengono, affinché si parli maggiormente dell’autismo, delle famiglie costrette a fare enormi sacrifici per curare i loro figli. Altre, invece, no. Sicuramente piangere sui social ha toccato il cuore di molte persone, ma sono stata costretta a farlo. Avrei tanto preferito tenerlo per me e non dire ai quattro venti che ho un figlio autistico. Magari c’è stata gente che ne ha riso. A mio parere chi non versa nella tua stessa situazione, non può capirti, non può capire le tue paure, le liste d’attesa lunghissime, i dolori quando alla recita scolastica tuo figlio è completamente nascosto dietro una tenda o la porta perché vuole andarsene via”. 

Nei suoi video messaggi, oltre agli aiuti concreti chiesti alle autorità sanitarie, i suoi appelli sono rivolti anche alle famiglie. Alla necessità di dare un’educazione corretta ai propri figli, che sia basata sul rispetto della vita umana in tutte le sue forme e colori. La sua speranza qual è? 
“La mia speranza è che si parli di più dell’autismo come delle tante altre disabilità. In modo tale che i bambini disabili non vengano osservati con curiosità, talvolta fastidiosa. Chiedo che le famiglie siano più attente all’educazione dei propri figli, che li educhino al rispetto delle diversità. Se ogni bambino capisse l’importanza di aiutare il prossimo penso che realmente potrebbe cambiare qualcosa nella società in cui viviamo”.

Quindi oltre all’accesso e alla gratuità delle terapie, lo snellimento delle liste di attesa, una mentalità sociale nuova che promuova progetti di informazioni alle famiglie sull’autismo e sulle altre disabilità, c’è qualcos’altro che potrebbe migliorare la vita di Rayan? 
“Sì. A settembre ho richiesto di poter avere l’OSS nella scuola perché mio figlio, nonostante i suoi 3 anni, non ha ancora il controllo dei bisogni fisiologici. È la coordinatrice scolastica che cambia il bambino, e che ringrazio con tutto il mio cuore, perché mio figlio la ama. Tuttavia, secondo me tutti i bambini disabili inseriti in ambienti scolastici pubblici dovrebbero avere un OSS predisposto alla loro cura igienica”.

Noemi qual’è la sua paura più grande? 
“Quando io e il papà di Rayan non ci saremo più, cosa ne sarà di lui? Questo ragazzo cosa farà, dove andrà, chi gli farà gli auguri di Natale, per il suo compleanno?”.

Si è mai chiesta ‘perché proprio a me’? Quale risposta si è data? 
“Dopo aver a lungo metabolizzato tutta la situazione, ad oggi penso che se esiste un Dio, anche se io sono atea, queste battaglie le dà a chi le sa lottare, a chi sa dare voce a questi bambini”.

Noemi, tutto ciò che lei fa è davvero molto straordinario. Dove attinge la forza per affrontare ogni nuovo giorno di suo figlio che cresce e della vostra famiglia? 
“Il papà di Rayan è presente anche se spesso è al lavoro, ma non ha ancora metabolizzato la disabilità del bambino. Mia mamma ha una bimba piccolina anche lei. Ho molto conforto da mia madre, ma ripeto devi esserci dentro per capire realmente tutta la nostra situazione. Diciamo che la forza me la do da sola e con i sorrisi di mio figlio”.

Ultima cosa Noemi: ascolti il suo cuore ed esprima un desiderio, per lei, per Rayan. Le auguro con tutto il mio cuore e con il cuore di migliaia di lettori che si avveri al più presto. 
“Grazie. Spero in una società migliore. Anche se sui social sono stata molto criticata, ci sono state migliaia di condivisioni in tutto il mondo della mia storia, dei miei appelli. Io spero in un mondo migliore, per tutti i bambini, per tutti questi bambini”.

Noemi, speriamo che alla sua causa si aggreghino molte più persone. L’unione fa sempre la forza.