“È accaduto in piena estate, nel mezzo della stagione balneare. Ci siamo illusi, solo per qualche tempo, che potesse essere una allucinazione prodotta dalla canicola, un effetto di Fata Morgana generato dalla calura. Non è così. La sala cinematografica dove molti di noi, bambini della provincia barese sul finire degli anni ’80, hanno incontrato per la prima volta il cinema non c’è più. Il Cinema Grande di Altamura di Via delle Cappelle ha chiuso i battenti in questo torrido Agosto 2021”.

Inizia così il lungo post di Stefano Lorusso, della pagina Cineclub Formiche Verdi, che annuncia la chiusura dello storico cinema. “Mai come quando si spegne la luce di un cinema ci scopriamo orfani. La chiusura di una sala cinematografica, evento di cui è puntellata la storia del nostro paese negli ultimi 20 anni, rappresenta per una comunità molto più che la perdita di un semplice esercizio commerciale. Per chi ama il cinema la chiusura di una sala cinematografica è la scomparsa di un punto di riferimento, di un approdo sicuro, di una riserva di libertà, di un luogo prezioso perché in grado di contenerne infiniti. Comprendere le cause sociali, culturali ed economiche che producono su larga scala questo fenomeno è importante, e serve a razionalizzare la perdita”.

“Con gli anni le sale cinematografiche hanno perso la loro capacità di richiamo, soffrendo la concorrenza di televisione, home-video e internet. Il pubblico si è sempre più ridotto, ripiegandosi su se stesso in una rapida mutazione antropologica e perdendo di vista la possibilità di vivere il cinema come occasione di incontro, crescita, avventura dell’anima. La sala cinematografica è finita per assimilarsi, nella percezione diffusa, ad un luogo dello svago e del consumo come tanti altri: la pizzeria, il ristorante, il bar. Da nutrimento essenziale per generazioni di spettatori, che attraverso la sua lente hanno imparato a leggere il mondo, il cinema è diventato companatico per altro, schiacciato dai meccanismi di una distribuzione sempre più massificata e massificante”.

“La pandemia, con i suoi isterismi, la sua crisi economica e le tante fratture provocate nel nostro vissuto sociale, ha fatto il resto. Ci sarebbero poi cause e responsabilità locali, figlie di comunità sempre più frammentate e dormienti, incapaci di fare dei luoghi della cultura luoghi di socialità e condivisione. Un problema atavico, soprattutto in un Sud da tempo disabituato alla frequentazione assidua di cinema e teatri. Le associazioni, i cineclub, i critici, i cinefili, gli spettatori più affezionati, quei pochi che continuano ad entusiasmarsi per il cinema come gesto creativo, hanno provato (e, non è dato prevedere fino a quando, proveranno) a resistere. L’impressione però è che si sia imboccata la strada di un processo irreversibile. Le sale cinematografiche sembrano destinate a soccombere sotto la spinta globalizzante dello streaming, in un clima di ipocrita indignazione di facciata che, di fatto, tradisce una sostanziale, profonda apatia”.

“Il cinema come luogo di incontro (fisico e non solo) e come esperienza collettiva viene sempre più sostituito dalla fruizione individuale di contenuti audiovisivi. Nel chiuso dei nostri appartamenti e delle nostre stanzette si consumeranno in solitudine le prime visioni di film attesi, le scoperte di autori importanti, i recuperi di classici del passato. Nella migliore delle ipotesi. La chiusura delle sale segna infatti l’ennesimo colpo ben assestato a quel residuo di guida, di traccia, di orientamento che un qualsiasi accorto programmista o direttore artistico di una rassegna può offrire al suo pubblico. Privi di una bussola sempre più spettatori-consumatori sperimentano la difficoltà di scegliere cosa vedere, sopraffatti da una offerta (solo in apparenza) troppo vasta, per cui si rende inevitabile l’abbandono alla dittatura dell’algoritmo. Una bolla autoreferenziale, sempre più tarata sulla nostra profilazione, ci assicurerà ogni giorno una dose di film giusti per noi, ma che non saremo noi a scegliere. “Ricorderemo il mondo attraverso il cinema”, affermava Bernardo Bertolucci. Ricordarsi del cinema, ricordare i film, anche quelli più dimenticati, sembra essere invece oggi l’unica strada per salvarli (e per salvarci) dall’oblio. Come in un romanzo di Ray Bradbury”.