Ventiquattro ore al lavoro tutte di fila, tra 118 e Punto di primo intervento. Non parliamo dei sottopagati e sfruttati immigrati nei campi per una manciata di spiccioli, ma dei medici in servizio in questi giorni in alcune postazioni del 118 baresi, oltre che nei Punti di primo intervento che non rientrano nell’accordo integrativo regionale (non AIR). L’ultimo caso arriva da Santeramo in Colle. Il tutto senza che il caso specifico sia stato formalmente autorizzato per iscritto. L’unica traccia di autorizzazione è per i medici dei Punti di primo intervento, per turni di 24 ore a luglio e agosto. La disposizione già contestata del coordinatore dell’Unità Operativa Complessa “118-PPIT”, Antonio Dibello, non riguarda i medici del 118. Secondo quanto abbiamo potuto verificare i medici libero professionali sarebbero gli unici preposti al servizio nei Punti di primo intervento non AIR.

Si procede con accorri telefonici per fare in modo che non si sappia troppo in giro, che non ci sia traccia dell’assurda prassi. L’odiosa abitudine, però, per quanto abbiamo potuto verificare, è stata adottata più volte da fine luglio a tutt’oggi, anche il 15 agosto. Come al solito si procede con approssimazione, nel tentativo di tamponare emergenze facilmente prevedibili con mesi e mesi d’anticipo. Una scelta “strana”, se si considera che, solo l’anno scorso, veniva ufficialmente vietato ai medici delle postazioni del 118, di prestare servizio nei Punti di primo intervento il cui budget è gestito direttamente dalla Asl e non dal Coordinamento del 118.

Chi paga il super lavoro di questi medici? Chi autorizza il super straordinario? Resta valida la delibera, ma si opera osservandola a piacimento, in barba alle leggi e al buon senso grazie alla complicità degli operatori che continuano a mattere una pezza e a intascare qualce soldino in più, passando dal 118 ai Punti di primo intervento non AIR, piuttosto che sollevare la questione e magari tentare di risolverla. Siamo all’ennesima scelta discutibile, apparentemente fuorilegge, presa al telefono, senza una firma, soprattutto sulle spalle degli utenti costretti – senza saperlo – a essere visitati da medici particolarmente stressati. Con questa regola non ci meraviglieremmo se le ore di lavoro ininterrotte possano diventare 36 e poi magari 48.

La prima conseguenza di questo allegro spostamento del personale è che durante le ore di servizio del medico del 118 nei Punti di primo intervento, si lascia scoperta la postazione del 118. Anche in questo caso la prassi è consolidata, ma non ci sono tracce scritte del fatto che, per esempio, un’ambulanza medicalizzata (con medico a bordo), operi con il solo infermiere. Da un lato i “figli”, quelli che prestano il fianco, non certo per pura dedizione; dall’altro i figliastri, i medici che durante il resto dell’anno non riescono a mettere insieme neppure il monte ore minimo per rispettare il contratto lavorativo con la Asl: 164 ore mensili, rischiando persino il licenziamento.

Quelli a cui sta bene non parlano. Gli altri, invece, per paura di ritorsioni, come nel caso dei due medici in catene, Francesco Papappicco e Francesca Mangiatordi, s’ingoiano il boccone al veleno. Ci chiediamo se il  coordinatore del 118 Antonio Dibello e i funzionari Anna Maria Quaranta e Francesco Lippolis, dell’Area gestione personale della Asl, siano a conoscenza di questa malsana procedura o siano addirittura gli artefici della forzatura contrattuale, con la conseguenza di una serie a catena di eventuali ripercussioni sulla salute pubblica. Per la serie: va tutto bene fin quando non succede niente.

Chi tutela le decine di giovani medici libero-professionisti, spesso buttati nella mischia senza patentino per il 118, dal punto di vista contrattuale, sindacale, assicurativo, dato che dei precari in Italia si può fare ciò che si vuole? In questo caso si va ben oltre i limiti del reato “deontologico” o di “lesa maestà”. Non ci resta che appellarci al direttore generale della Asl di Bari, Vito Montanaro, molto probabilmente all’oscuro della storica prassi adottata e diventata consuetudine, seppure assolutamente da stigmatizzare. Passano gli anni, passano i vertici dell’azienda sanitaria, ma certe prassi continuano a restare impunite. Si potrebbe avviare un procedimento disciplinare per accertare le responsabilità e prendere, come ci si aspetta, i necessari provvedimenti nei confronti di chi se lo merita.