Tra il 2012 e il 2013 in Puglia 30mila persone hanno perso il proprio posto di lavoro. Ciononostante, o forse proprio per questo, nel periodo compreso tra il 2010 e il 2013 gli iscritti presso il sindacato sono passati da 136.378 a 143.619. Numeri dietro ai quali corrispondono persone. Cifre riportate dal segretario regionale della Cgil Gianni Forte durante il suo intervento al coongresso pugliese:

Terribili. Questo è l’aggettivo più consono per descrivere questi ultimi quattro anni. Sono stati anni terribili per il Paese e sono stati anni terribili per la Puglia, regione che ha visto crescere le povertà, mentre crollavano gli indicatori della crescita e dell’occupazione, specialmente di quella giovanile. Eppure la crisi già nel 2010  aveva cominciato a dare i primi segnali, vanificando buona parte dei risultati ottenuti negli anni precedenti e delineando contorni di un declino industriale che noi della Cgil vedevamo come un rischio evidente, al contrario del Governo nazionale che tendeva a minimizzare, sostenendo che la crisi sarebbe stata presto superata e che la ripresa fosse dietro l’angolo, pronta ad esplodere. E intanto si faceva finta di non vedere il disastro che si stava producendo dal punto di vista occupazionale. Un disastro che al sud assumeva contorni ancora più allarmanti, fagocitando regioni come la Puglia che avevano fatto tanto, vanificando così i risultati ottenuti.

L’insofferenza è ora lo stato d’animo che sedimentandosi nel corso di questi anni, ha preso il sopravvento sulla speranza e sulla voglia di lottare che molti, tanti, non hanno più. Si tratta di gente che il lavoro lo ha perso o lo vede svanire per effetto delle crisi aziendali a volte senza sbocco. C’è poi chi il lavoro non lo trova ed è costretto ad emigrare come i tanti giovani che si trasferiscono all’estero. C’è chi vede crollare la propria condizione, ci sono nuove aree di disagio e non ultimo c’è la condizione allarmante degli anziani.

Il governo regionale ha tentato di colmare lacune e voragini che si sono aperte a livello nazionale, mettendo in piedi politiche industriali e ingenti risorse per sostenere l’innovazione, un piano straordinario per il lavoro insieme a quello per i percettori di ammortizzatori sociali in deroga. Una task force regionale che ha lavorato per garantire una via di uscita alle tante vertenze finalizzate a salvare posti di lavoro, a scongiurare la chiusura definitiva di aziende anche importanti nello scenario economico e produttivo regionale e nazionale. Anche le politiche sociali della Regione Puglia sono l’esempio di sforzi fatti nella direzione non solo del rafforzamento infrastrutturale, vedi gli asili nido, ma anche dei sostegni, colmando i tagli del governo nazionale a partire dal fondo per l’autosufficienza. Nonostante tutto ciò però, i risultati sono stati al disotto delle aspettative non solo dal punto di vista sostanziale, ma anche del livello di percezione da parte dei cittadini pugliesi, perché tendono a prevalere i punti di debolezza rispetto ai punti di forza. Le risposte a questi interrogativi vanno ricercate nell’analisi dei limiti del modello di sviluppo che va quindi ripensato ripartendo dal territorio e dalla sua valorizzazione, improntandolo ora sulla logica della sostenibilità. Va sperimentata ogni soluzione per salvare la produzione, l’occupazione, ma fondamentalmente per rassicurare cittadini e lavoratori. Servono risorse e quelle poche a disposizione bisogna spenderle, ma servono anche idee e soluzioni, nell’ambito di un sistema imprenditoriale che deve cominciare a splendere di luce propria e a misurarsi con la capacità di progettare il nuovo. E’ importante che nella nuova programmazione si preveda una misura a favore di imprese che intendono avviare processi di riorganizzazione e ristrutturazione aziendale, puntando sull’innovazione. Bisogna che l’idea di sostenibilità passi attraverso il recupero della fiducia dei cittadini, che si persegue attraverso la pratica della partecipazione, su cui occorre investire. Sostenibilità è anche ciò che rende le persone più sicure, attraverso un sistema sociale inclusivo, una migliore qualità della vita, una rete di servizi che risponda ai bisogni vecchi e nuovi, il lavoro, i diritti. Affinché i cittadini recuperino fiducia nei confronti del servizio pubblico, servono segnali forti che indichino un percorso di discontinuità, di rottura, di cambiamento, non solo per migliorare i servizi, ma anche soprattutto per creare lavoro, quel lavoro che diventa sempre più irraggiungibile per i giovani o per chi lo perde e sempre più a rischio per chi ce l’ha. Quando la disoccupazione raggiunge al sud ed anche in Puglia livelli che si aggirano intorno al 20% c’è poco da indugiare. Serve una terapia d’urto che vada ben oltre quello che è già stato fatto. Siamo all’emergenza e indipendentemente dalle politiche che a livello nazionale è necessario siano messe in campo, in Puglia è necessario fare qualcosa che assecondi la logica dell’emergenza: dallo sblocco dei cantieri fermi o non ancora attivati, come meritoriamente è stato fatto nelle settimane scorse per la Regionale 8, all’individuazione di interventi già finanziati e che possono produrre occupazione immediata. Ma non basta. Occorre procedere con l’apertura di cantieri di lavoro destinati ai disoccupati: dalla messa in sicurezza del territorio, alla manutenzione delle scuole, dall’arredo urbano, all’incremento della raccolta differenziata, alla conservazione dei beni culturali e ambientali.

Insomma, bisogna aprire una fase nuova, con ammortizzatori che come propone la CGIL rispondano alla logica della inclusività e universalità e che diventino un riferimento certo per chi è alle prese col dramma della perdita del posto di lavoro. Ma sulle politiche attive del lavoro c’è da fare ancora tanto. D’altronde, anche gli interventi su “Garanzia giovani” richiedono un approccio diverso, anche e fondamentalmente in merito ai servizi al lavoro e al ruolo dei centri per l’impiego che

devono recuperare una nuova capacità di aprirsi all’esterno, di fare rete con i tanti soggetti. E poi vanno riviste le politiche formative, perché l’offerta scolastica e universitaria non è in alcun modo coordinata con le dinamiche del mercato del lavoro e con i fabbisogni da parte delle imprese. Una formazione professionale slegata dai fabbisogni aziendali, dalle esigenze reali del mercato del lavoro non è affatto utile.

Il Governo italiano si appresta a svolgere un ruolo importante a partire dal prossimo semestre e noi vogliamo che lo faccia con idee chiare e ricette credibili: redistribuzione dei redditi, riduzione delle disuguaglianze e un grande piano di investimenti. Sono queste le condizioni per creare lavoro, in Italia, così come in Puglia.