All’esterno del grosso cancello è attaccato il cartello: deposito laboratorio Petruzzelli; lo stesso cartello messo ben in evidenza sul portone del fabbricato. Il capannone, di proprietà dei Mazzitelli, è quello che un tempo ospitava l’Alco Palmera, nella zona industriale di Bari. In realtà non si tratta di un deposito, ma del laboratorio dove vengono realizzate le scenografie delle opere prodotte dal Petruzzelli.

Una vergona senza precedenti; l’ennesima verità che il commissario ha colpevolmente taciuto, con la complicità di molti dei protagonisti della storiaccia che, con il passare delle settimane, assume connotati inquietanti. Questa volta non si tratta dell’incompatibilità di un incarico, di gare d’appalto fasulle, di clientelismi e favori vari, ma della vita dei lavoratori. Dopo essere stati fermati all’ingresso mentre tentavamo un blitz con la telecamera; dopo aver chiesto invano la collaborazione degli operai, siamo finalmente entrati in possesso di alcune fotografie sconvolgenti (allegate nella galleria in fondo all’articolo).

Falegnami, carpentieri, fabbri – una ventina in tutto, la stragrande maggioranza precari – operano in barba a qualsiasi norma sulla sicurezza.  Non sappiamo se l’enorme capannone abbia l’agibilità. Certamente, un controllo, un qualsiasi controllo, non potrebbe che decretarne la chiusura immediata. Ciò che appare più grave, però, è il fatto che molti sappiano e continuino a far finta di niente. L’estate scorsa un operaio che stava scaricando alcune scenografie prestate al Festival della Valle d’Itria fu schiacciato da un pannello, rimanendo gravemente ferito. Ci fu un’ispezione dello Spesal, arrivarono i carabinieri e i soccorritori del 118, ma tutto passò inosservato. Tirarno tutti un sospiro di sollievo. L’operaio, arrivato da Martina Franca, s’infortunò a bordo del camion, non nel laboratorio. Ora, però, ci sono le immagini. Cambia tutto.

L’impianto elettrico è stato realizzato dagli elettricisti della Fondazione. C’è stato riferito non abbia le certificzioni previste dalla legge. Nonostante si lavori il legno, il ferro e si abbia a che fare con vernici e resine tossiche (i fusti sono lasciati senza la minina precauzione) non estite un impianto di aspirazione o di aerazione. I vetri posti in alto sono, appunto, solo vetri e non finestrini. La struttura diventa un forno d’estate e un congelatore d’inverno. Per gli operai nessun diritto, nessuna attrezzatura di sicurezza e il silenzio, per paura di perdere il posto. Nessuno ha voluto parlare con noi. Uno solo di loro si è lasciato sfuggire una frase: «Lo sanno tutti, anche il commissario». Che lo sappiano tutti è evidente anche nella fotografia che ritrae lo scenografo di Elektra – la contestatissima apertura della stagione d’opera – che impartisce indicazioni.

I bagni vengono puliti una volta a settimana, neppure gli estintori ricevono il trattamento previsto con la cadenza prevista dalla legge. Quando non si fa in tempo a prendere accordi con l’azienda di smaltimento dei rifiuti, la legna che avanza dalla lavorazione viene bruciata all’esterno insieme ai grossi topi che vengono catturati mettendo il veleno in alcuni piatti di plastica lasciati in prossimità dei due ingressi. Nessuno dei lavoratori ha mai fatto un corso sulla sicurezza sul lavoro e molti nemmeno quello antincendio. Non li hanno fatti esattamente come ci avevano raccontato i custodi del teatro. Corsi fatti fare, invece, al personale della biglietteria e degli uffici. Un’assurdità mostruosa.

Il commissario dice di aver sanato i conti della Fondazione. Non è possibile dimenticare quell’attivo di 64mila euro sbandierato ai quattro venti. Mettiamo sia vero – al netto del mancato contributo del Comune e della Provincia – a quale prezzo lo ha fatto? Sulla pelle dei lavoratori e non rispettando i pagamenti alle aziende, poi costrette a chiudere? In questo modo chiunque può fare il commissario. Nel frattempo in quel capannone si lavora tutti i giorni con la speranza che non capiti niente a nessuno.

All’interno del teatro l’aria è tesa. È iniziata la fuga a Triggiano, in un fabbricato vicino alla ex Superga. Il progetto sarebbe quello di costruire le strutture nell’attuale sede e di dipingerle e decorarle – quindi con uso ancora una volta di vernici e resine tossiche – a Triggiano.  Attenzione, però, non è che quel capannone sia messo tanto meglio. Fino a quando dobbiamo sopportare tutto questo? Fino a quando la politica continuerà a fare solo proclami e le istituzioni a stare in silenzio? Fino a quando chi ha sbagliato deve far pagare agli altri i propri errori? Crediamo sia arrivato il momento di affrontare di petto la situazione. Sindaco Emiliano – ancora una volta presidente della Fondazione – tra una polemica e l’altra con Di Paola, si occupi anche di questo. L’esempio è il migliore spot elettorale.

Nella stagione 2014 solo due opere (Elektra e Pagliacci) sono prodotte dalla Fondazione Petruzzelli che, stavolta – a differenza di quanto sucesso per Otello (gennaio 2013) e Sonnambula (settembre 2013) – pare abbia finalmente capito la differenza tra nuovi allestimenti e riprese. E se tutta questa operazione siluppata nel periodo del commissariamento avesse come fine ultimo quello di svuotare il Teatro della sua capacità produttiva, per renderlo solo un contenitore come un altro? Non sarebbe una novità. Il modello romano del Parco della Musica, di cui Carlo Fuortes è l’amministratore, insegna.