I cambiamenti psicofisici dell’adolescenza sono spesso vissuti più come malessere che come processo evolutivo naturale e il disagio che ne deriva, se non opportunamente trattato, a volte può degenerare in pericolosa devianza. Non di rado infatti, la cronaca segnala episodi di inaccettabile violenza compiuta da o tra giovanissimi. Per l’adolescente, prendere le distanze dal mondo degli adulti, considerati nella migliore delle ipotesi insopportabili “fondamentalisti”, rappresenta, il più delle volte, l’unica via di scampo: l’adulto ai suoi occhi diventa all’improvviso incapace a comprendere e un modello di cui sbarazzarsi. Questo e molto altro è raccontato ne “Il vuoto dentro”, l’ultimo lavoro dello psicanalista adleriano, Giacomo Balzano. Lo scrittore, autore di numerose altre pubblicazioni sul disagio giovanile, racconta la storia toccante di un adolescente iperdotato che deve fare i conti perennemente con la sua condizione di “diverso”.

“Il vuoto dentro” racconta la storia di Marco, adolescente iper-intelligente e problematico. Che relazione può esserci tra il vuoto e l’essere iperdotati?

«Ovviamente tra sentimenti di “vuoto” e “iperdotazione” non c’è un rapporto causalistico così stretto. È anche vero, però, che la conchiglia crea la sua perla quando è malata. Allo stesso modo,  il dolore, la sofferenza, possono spingere la persona a trovare delle particolari e straordinarie forme di compenso per arginare la propria angoscia. Forme compensative che diventano anche balsamo delle proprie ferite. La storia ci insegna che molti  geni del passato, dalla scienza alla letteratura, pur avendo avuto una vita segnata da forti frustrazioni, hanno compensato brillantemente e sono ricordati per le loro innovazioni».

Il disagio giovanile deve essere sempre “trattato”. Quali sono i primi segnali che possono far pensare a questo stato?

«Il disagio giovanile può essere trattato. Lavoro ormai da 30 anni nel settore e si è vista l’efficacia del lavoro analitico nei disturbi dell’età evolutiva. Tuttavia, l’OMS avverte che nei prossimi anni le psicopatologie che possono causare morte e disabilità nell’infanzia e nell’adolescenza, aumenteranno del 50%. Pertanto più che al trattamento, bisognerebbe pensare a forme di prevenzione del disagio. Le più efficaci sono quelle che prevedono una proficua “alleanza” tra famiglia-bambino e agenzie educative, penso ad esempio alla scuola. Secondo me, per individuare e “curare” precocemente i soggetti a rischio e problematici, diventa indispensabile contemplare in ogni plesso scolastico la presenza di uno Psicologo dell’Età Giovanile».

La condizione di malessere negli adolescenti è in aumento. Perché?

«Credo che una delle cause dell’aumento del malessere nei giovani sia dovuto proprio alla presenza, in loro, di una più spiccata intelligenza emotiva che è poi alla base dell’iperdotazione. Poi c’è anche l’incapacità di chi è preposto alla crescita del piccolo di favorirne l’espressione e di contenerne le angosce dovute alla maggiore sensibilità. Questi “ipersensibili”, difatti, sono più vulnerabili alla frustrazione, ai dolori  e alle angosce. La conseguenza è la tendenza, da parte di questi ragazzi, a arginare il malessere rincorrendo i modelli offerti dall’attuale contesto socio-culturale. Di solito, si tratta di modelli di tipo narcisistico, che impongono fittiziamente la perfezione o l’onnipotenza. Il risultato è la censura, a prescindere, della sofferenza. Che diventa, così, il vero tabù del terzo millennio».

Dott. Balzano, l’attuale società è preparata ad affrontare tali problematiche? Quali strumenti abbiamo?

«Gli strumenti per affrontare efficacemente il disagio giovanile secondo me dovrebbero vertere a sostenere genitori e figli. Strategie che si possono tradurre per esempio, nell’inserire  la figura dello psicologo negli ambulatori pediatrici e a scuola. La precoce “diagnosi” e il trattamento di eventuali disturbi, nonché la formazione degli adulti nel comprendere e sintonizzarsi in maniera empatica con il bambino, possono, prevenire lo sviluppo delle forme più deleterie di disagio. Guardandoci attorno, dica lei, se ci sono movimenti e proposte “sociali” che vanno in questa direzione. Quello dell’età evolutiva pare un settore dimenticato dalla nostra società».

Chi è Marco ora?

«Premetto che la storia raccontata nel libro è opera di fantasia anche se la mia professione di psicanalista è sicuramente sullo sfondo. Mi piacerebbe però lasciare al lettore la libertà di scoprire Marco, la sua vita e soprattutto i suoi sviluppi».