Muore a 20 anni di tubercolosi in casa, davanti allo sgomento e al tormento del suo coinquilino che per due ore, tra l’indifferenza dei suoi vicini e chiamate senza risposte, ha tentato in tutti i modi di salvargli la vita.

Una storia da brividi, che arriva direttamente da Molfetta. Salif, 31enne senegalese in Italia dal 2011, ha visto morire il giovanissimo Souba Balde tra le sue braccia. Con commozione, in un italiano perfetto, al telefono ci ha raccontato tutti i retroscena di quest’assurda vicenda.

“Da quando l’ho conosciuto, a luglio, mi sono reso conto che aveva una forte tosse e che quella non era per niente normale – racconta -. Lui spesso veniva a casa con altre persone a vedere le partite perché io avevo l’abbonamento a Sky. Un amico in comune ha scoperto di avere la tubercolosi, quando l’abbiamo saputo sono andato subito in ospedale a fare il test e sono risultato negativo. Anche lui mi ha detto che lo aveva fatto”.

Un mese dopo, ad agosto, Souba chiede a Salif di poter andare a vivere insieme a lui. “Cercava casa perché lo avevano cacciato dal centro che lo ospitava – spiega il 31enne -. Io non volevo rifiutarlo e farlo dormire per strada, ma c’era già un’altra ragazza che però è andata via dopo un mese. Così ad inizio settembre è venuto a stare qui con me”.

“Io mi sono fidato di lui quando mi ha detto che era risultato negativo, ma ho scoperto poi che aveva la tubercolosi da anni. Prima di venire a Molfetta lui si trovava in un centro a Bisceglie, avevano iniziato a curarlo, ma quando è stato trasferito qui nessuno ha detto niente – continua Salif -. Lasciare andare in giro un ragazzino così piccolo, malato, senza avvisare le Forze dell’Ordine e mettere in pericolo altre persone, tra cui me che l’ho ospitato in casa, è una follia. Se lo avessi saputo prima lo avrei portato io stesso all’ospedale. Souba mi ha mentito, è vero, e le colpe sono anche le sue, ma la responsabilità della sua morte è anche la loro”.

Sabato sera la tragedia. “È uscito di casa alle 17 per mandare dei soldi alla sua mamma – afferma -. È tornato, abbiamo bevuto il thè, abbiamo cenato e poi ho deciso di fare una doccia. In casa c’era anche un altro amico, stavo mettendo in ordine il bagno quando mi ha avvisato che Souba si stava sentendo male. Mi sono precipitato in stanza, lui era sdraiato sul letto con la testa a lato e vomitata sangue”.

Salif e l’amico cercano disperatamente aiuto. “Ho provato a contattare il 118, ma risultava sempre occupato mentre lui ha iniziato a bussare ai vicini, ma senza successo. Nessuno gli ha aperto – racconta -. Ho deciso così di chiamare il 112 e il 113, la Polizia mi ha risposto e ho chiesto subito un’ambulanza. Mi hanno messo in contatto con il 118, ma la linea è caduta. In quel momento Souba mi ha guardato negli occhi e mi ha detto: ‘Sto per morire'”.

“Ho provato in tutti i modi a non lasciarlo fino agli ultimi istanti, gli ho detto di non mollare, che sarebbero arrivati presto i soccorsi anche se nessuna ambulanza stava arrivando – continua Salif -. È morto tra le mie braccia”.

“Nessuno mi ha risposto, nessuno mi ha aiutato, nessuno ha aperto la porta o si è affacciato per vedere cosa stesse accadendo. Souba è morto anche a causa dell’indifferenza della gente – afferma con rabbia il 31enne -. Ho preso la mia bici per recarmi in caserma, ho trovato una pattuglia dei Carabinieri per strada e ho raccontato quello che era successo. Siamo tornati a casa, hanno salito le scale e hanno trovato il corpo di Souba senza vita”.

Una storia, che fino all’ultimo, lascia davvero senza parole. “La casa doveva essere disinfettata, ci hanno detto che non potevamo rimanere – conclude Salif -. Nessuno ci ha dato un posto, ci hanno lasciato dormire fuori”.