Parco della Legalità, ma nei nelle carte giudiziarie abusivo. Un paradosso tutto barese che si trascina dal 2006, da quando l’allora magistrato sindaco, Michele Emiliano, fece saltare in aria i palazzi di Punta Perotti. Abusivo perché, è storia nota, la confisca dei suoli disposta nel 2001 dalla Cassazione è stata ritenuta arbitraria e priva di base legale dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, e dunque revocata.

Fin qui il breve riepilogo della storia molto intricata, che si arricchisce di un nuovo capitolo. I liquidatori della Sudfondi, già ammiraglia del Gruppo Matarrese in liquidazione per le pesantissime conseguenze economiche di quell’abbattimento, hanno intimato al Comune di Bari la restituzione dei suoli su cui insiste, appunto, il Parco della Legalità ai baresi tanto caro, non solo in senso affettivo. Ricordiamo che la bozza di consulenza tecnica disposta più di un anno fa dalla Corte di Appello di Bari, dinanzi alla quale pende il contenzioso, ha stimato i danni in 144 milioni di euro.

Con una pec inviata tra gli altri ad Antonio Decaro e Davide Pellegrino, il dottor Vito Lisi e l’avvocato Flora Caputi, liquidatori giudiziari della Sufondi, hanno intimato alla pubblica amministrazione di smantellare tutto entro il 30 novembre. Sudfondi è proprietaria dei terreni, il Tribunale di Bari ha detto sì alla proposta di concordato preventivo, c’è da scongiurare il fallimento, e dunque ci sono una massa di creditori da soddisfare.

Non bastasse, parte di quella lottizzazione mai ritirata in autotutela dal Comune, è stata annessa al patrimonio comunale, che ha realizzato sottoservizi, viabilità, illuminazione pubblica etc. etc. Anche quell’area, parliamo di 30mila metriquadri, deve tornare alla Sudfondi.

Ovvio che la prospettiva di smantellare tutto non alletti nessuno a Palazzo di Città; l’ipotesi allo studio è quella di una soluzione compensativa, perequativa per essere precisi. La costa sud è da tempo interessata a un progetto di riqualificazione, l’idea è quella di scambiare altre aree edificabili al posto di quelle oggetto della lunga vicenda giudiziaria. Al suo delfino Antonio Decaro, Michele Emiliano ha lasciato in eredità un bel “marrone”.