Prima liquida quanto richiesto dal suo dipendente, direttamente in busta paga, poi presenta opposizione al relativo decreto ingiuntivo, esattamente il giorno successivo al pagamento, pur sapendo che non c’erano i presupposti per farlo. Sembra assurdo, ma nella Asl Bari succede anche questo.

Non a caso, dunque, il Giudice del Lavoro ha condannato l’Ente al pagamento delle spese processuali, ma anche di 500 euro in base all’articolo 96 comma 3 del codice di procedura civile, la così detta lite temeraria: “Non v’è dubbio – scrive il Giudice nella sentenza – che l’instaurazione di questo giudizio è stata del tutto inutile”. Tradotto, la Asl ha fato perdere tempo e soldi al dipendete e allo Stato Italiano, in questo caso soldi pubblici, cioè nostri che paghiamo le tasse.

Cosa è successo? Il 17 ottobre dello scorso anno, alla Asl Bari viene notificato un decreto ingiuntivo per il pagamento di un emolumento oggetto di controversia col lavoratore. Il 25 novembre, con la busta paga dello stesso mese, oltre allo stipendio viene corrisposta al dipendete anche la somma oggetto del decreto ingiuntivo. Il giorno seguente, ossia il 26 novembre 2016, l’Ente deposita il ricorso in opposizione.

“Va dichiarata la cessazione della materia del contendere – scrive ancora il Giudice – essendo sopravvenuto un fatto, l’avvenuto pagamento in favore dell’intimante delle somme oggetto d’ingiunzione, idoneo a privare le parti di ogni interesse ad una pronuncia sul merito della pretesa. In tale evenienza – prosegue più avanti la sentenza – può al limite residuare un contrasto sulle spese di lite, che il giudice con la pronuncia deve risolvere secondo il criterio della cosiddetta soccombenza virtuale”.

“Nel caso di specie  – si legge ancora – parte virtualmente soccombente è l’opponente (la Asl, ndr) posto che il pagamento della somma intimata è intervenuto in epoca pressoché coeva all’instaurazione della lite”, ovvero nello stesso periodo di tempo.

In pratica, dice il Giudice, avendo già riconosciuto al dipendente quanto da questi preteso, non c’è più motivo di contesa tra le parti, se non al limite per le spese processuali, il cui pagamento spetta alla parte virtualmente soccombente, ovvero la Asl, avendo quest’ultima accettato la richiesta del lavoratore come testimoniato dalla busta paga di novembre: “Il pagamento eseguito dalla Asl testimonia in modo evidente la palese infondatezza dei motivi di opposizione” scrive il Giudice.

Per il Giudice, il fatto che si tratti di un Ente di grandi dimensioni e che quindi possano esserci delle disfunzioni organizzative, non giustifica la condotta della Asl, dato che “la notifica dell’atto di opposizione è stata chiesta in data 10.2.2017 (cioè a distanza di circa due mesi e mezzo dal deposito del ricorso e dal pressoché contestuale pagamento), per cui l’azienda ha avuto tutto il tempo di assumere le determinazioni utili per evitare di dar corso al giudizio di opposizione”.

Quello che non si legge nella sentenza è l’antefatto. Sette anni prima, tra la Asl e il dipendente si era aperto lo stesso analogo contenzioso, risolto con il giudizio a favore del lavoratore. Per quale motivo l’Ente ha ritenuto di voler percorrere nuovamente la stessa strada, non è dato sapere. Di certo si tratta di un comportamento quantomeno masochista, se non addirittura doloso. Visto il precedente sfavorevole, era facile presupporre come sarebbe andata a finire, ma tanto chi ha instaurato questo giudizio inutile non paga di tasca propria.