Le figlie dell’80enne morto alle 12.15 del 20 agosto scorso, nel reparto di Neurologia del Policlinico, sono ancora sotto schock. Da un lato il dolore per la scomparsa del caro papà, ex ciclista al fianco di Fausto Coppi, dall’altro il raccapriccio per quei cinque giorni di ricovero in un posto che definiscono “l’inferno sulla terra”. L’anziano, sotto stretto controllo medico per via di una fibrillazione atriale, problemi al fegato, un pacemaker e una bronchite cronica rimediata ai tempi della sua attività sportiva, viene portato al pronto soccorso del Policlinico.

Quattro ore di attesa prima di decidere il trasferimento in Neurologia. Il sospetto è quello di un ictus in corso, non riuscendo l’uomo a reggersi in piedi e avendo qualche difficoltà nel parlare. “Una degenerazione totale – racconta una delle figlie che si alternavano al capezzale -. Tralasciando il giudizio sulle terapie somministrate, ciò che ci ha sconvolto è soprattutto la totale assenza di igiene, la distrazione di una parte del personale ausiliario e infermieristico e l’arroganza di alcuni medici, che continuavano a ripetere che avremmo dovuto solo rassegnarci alla morte”.

Nonostante l’insistenza delle figlie, infatti, secondo quanto ci viene raccontato, i medici che lo hanno avuto in cura hanno sempre rifiutato il trasferimento in Cardiologia, poi in Rianimazione, dove pure sarebbero stati pronti ad accogliere l’80enne, accertato il fatto che non era stato colpito da ictus, in seguito alla tac eseguita il giorno dopo. “Sono successi degli episodi sconcertanti – spiegano i familiari mostrando fotografie e invitandoci ad ascoltare i familiari degli altri pazienti  -. Mentre nostro padre era ricoverato nella Stroke Unit, per esempio, in un caso hanno dimenticato di dare da mangiare ai degenti. Il monitor a cui era stato inizialmente attaccato mio padre era rotto, pur non essendo ancora chiaro cosa avesse avuto; in quelle condizioni è stato tenuto in un posto non sterile nonostante le nostre insistenze; gli hanno cambiato la maglia del pigiama, ma si sono dimenticati di attaccare la flebo, facendo finire tutto il medicinale per terra oppure dimenticavano di attaccarla alla spina per il monitoraggio del flusso”.

Il racconto dell’orrore continua: “Non gli somministravano per tempo le compresse. In un caso, poi, non fosse intervenuta la figlia dell’altro paziente ricoverato in camera con mio padre, avrebbero scambiato le pillole; se non lo avessimo fatto noi, nessuno controllava il livello della glicemia; è stato tutto il tempo con una maschera per l’ossigeno taglia XL perché non avevano quella della taglia giusta per lui; non c’era un termometro”.

Ad essere incriminata non è tanto l’assistenza medica riservata al paziente – su quella non possiamo mettere becco – ma soprattutto le condizioni generali del reparto, in un momento in cui si tagliano ospedali e si annuncia quanto sia migliorata l’offerta della sanità regionale. “Chi ha il compito e il dovere di farli, andasse a fare controlli veri in quel posto – continuano i familiari del paziente – non si possono trattare in quel modo uomini e donne così fragili”.

Più volte ci siamo occupati delle condizioni disastrose della Neurologia, senza mai mettere in discussione la professionalità di chi ci lavora, ma sulla pagina Facebook di una delle figlie del deceduto, sono arrivati commenti sconcertanti di familiari di altri pazienti ricoverati in quello stesso reparto. Fossero tutti veri ci sarebbe di che preoccuparsi e indagare più a fondo. Indipendentemente dalla formalità di un’eventuale denuncia, ci sarebbe bisogno di un accertamento da parte del presidente della Regione Puglia e assessore alla Sanità, Michele Emiliano, e del responsabile del Dipartimento regionale competente, Giovanni Gorgoni, oltre che dei vertici della struttura sanitaria.

Non è ancora stato ufficialmente detto quali saranno le sorti della sanità regionale, ma ciò che dovrà rimare in eredità dopo i tagli, il declassamento e gli accorpamenti, non può certo essere questo racconto orribile che ci arriva dal reparto di Neurologia del Policlinico. Restiamo a disposizione di chiunque avesse qualcosa da aggiugere o precisare in merito alla vicenda, convinti che comunque nessuno al mondo possa meritare una simile assistenza, anche nell’ipotesi si trattasse di un malato terminale. “Mio padre – tuona una delle figlie – in ospedale è entrato con il suo solito sorriso”.