Anuta, 36 anni e quattro figli, da qualche giorno è vedova. Suo marito Dorel Sandu, 35 anni, come lei romeno di etnia rom, è morto al Policlinico di Bari in attesa di un trapianto di fegato. Dopo dieci giorni di ricovero, la sua situazione è precipitata fino alla tragedia. Anuta non si rassegna e presenta un esposto al Comando provinciale dei Carabinieri di Foggia, che poi trasmettono gli atti a Bari.

Il pm è Claudio Pinto. Vengono disposti il sequestro della cartella clinica e l’autopsia. Per il momento s’indaga contro ignoti. La denuncia di Anuta è estremamente dettagliata. Vuole giustizia per suo marito, chiesta anche attraverso un gruppo di amici che hanno consentito alla sua famiglia di uscire dalla baraccopoli senza luce, acqua e gas in cui viveva. Da un paio di mesi, la famiglia Dorel vive in un minialloggio decente per i quattro bambini di dieci, otto, sei anni, e il più piccolo di due mesi. I primi tre sono regolarmente iscritti a scuola, la Montessori di Foggia, anche grazie alla lungimiranza della dirigente scolastica.

ll quadro clinico di Dorel è complicato. Una calcolosi da bambino, vari interventi e l’asportazione di un rene. Per due anni ha preso un farmaco salvavita. Viene ricoverato a Foggia, ma dopo un mese i medici suggeriscono il trasferimento in un centro trapianti, perché c’è bisogno di un fegato nuovo. Scatta l’allerta da Foggia e si fanno avanti l’ospedale di Bologna, meta di molti foggiani nelle stesse condizioni, e il Policlinico di Bari.

Dorel Sandu arriva al nosocomio barese, nel reparto di Gastroenterologia, accompagnato in ambulanza, ma reggendosi sulle sue gambe. A far precipitare la situazione – si legge nell’ esposto – potrebbe essere stato un sedativo somministrato forse incautamente tra la notte del 25 e la mattina del 26 luglio scorsi.

Dorel ha una crisi di ammonio, ne aveva avuta un’altra a Foggia da cui era riuscito indenne grazie a un medico rianimatore. Per sedare il paziente viene iniettato un calmante. Una scelta probabilmente incauta, considerando il grave quadro clinico che presenta insufficienze renali, epatiche e pancreatiche. Il 26 luglio Anuta e altri amici chiamano Dorel sul cellulare, ma non risponde nessuno. A quel punto qualcuno si mette in contatto telefonicamente col reparto. Un infermiere, forse un ausiliario, va al capezzale di Dorel, accorgendosi che l’uomo è esanime. A quel punto la corsa in Terapia intensiva e l’uomo viene intubato.

Salta qualsiasi preciso piano terapeutico che avrebbe condotto al trapianto. Le infezioni aumentano. Anuta chiede al pm come mai non siano state avviate prima le procedure per il trapianto di fegato, quando i parametri erano accettabili. Il 25 luglio, poi, stando a quanto si legge nell’esposto, Dorel avrebbe dovuto essere sottoposto a dialisi, terapia che poi non viene più eseguita. Pare che i parametri di Dorel, al momento dell’arrivo al Policlinico, rientrassero perfettamente in quelli ritenuti idonei al trapianto. Del resto, altrimenti, difficilmente l’ospedale di Bologna avrebbe dato la propria disponibilità al trapianto. Cos’è successo in quei dieci giorni? Perché non è mai scattata l’allerta nazionale? Perché la situazione è precipitata in quel modo e Dorel è rimasto ricoverato inutilmente tanto da finire in coma?

Della questione trapianti, per di più di fegato, ci siamo già occupati un anno fa, quando vi abbiamo raccontato passo dopo passo la storia di Giovanna Mastrogiacomo, l’insegnante della scuola dell’infanzia di Adelfia, morta in circostanze molto simili il 13 luglio del 2015, dopo essere stata ricoverata 20 giorni al Policlinico. Ricovero cui seguì la fuga e il trapianto di fegato all’ospedale Torrette di Ancona. In quella occasione pubblicammo una conversazione molto interessante avuta con il medico che aveva in cura la signora Mastrogiacomo. Conversazione che vi riproponiamo alla luce del caso di Sandu Dorel, 35enne rom, che percorreva diversi chilometri a piedi tutti i giorni per assicurare ai suoi quattro figli un futuro migliore, lontano dalla baraccopoli.

Il comitato spontaneo “Amici di Dorel Sandu” si è impegnato a seguire in ogni caso la vedova e i suoi figli, e continuerà a impegnarsi per garantire la continuità scolastica e la crescita dei minori nel nome del padre esemplare che hanno avuto. A questo punto, però, serve l’intervento delle istituzioni per evitare di mandare in fumo uno dei pochi esempi di integrazione registrati in Puglia negli ultimi anni.