L’applauso parte già forte ai titoli di coda di “Io capitano” e si trasforma in una lunghissima standing ovation quando, accompagnato dal direttore del Bif&st Felice Laudadio, Matteo Garrone fa il suo ingresso nella platea del Teatro Petruzzelli. “La più bella accoglienza di tutta la mia carriera” ha commentato, visibilmente emozionato.
Due settimane fa il regista romano era al Dolby Theatre di Los Angeles alla Cerimonia degli Oscar, dove “Io capitano” correva per la statuetta al miglior film straniero. E per il suo primo incontro con il pubblico italiano, dopo il suo soggiorno americano, ha scelto Bari e il suo Bif&st, dove stasera, sempre al Teatro Petruzzelli, riceverà il Premio Mario Monicelli per il miglior regista italiano e il Federico Fellini Platinum Award.
E non si poteva non partire che da un suo commento sul mancato Oscar, richiesto dal moderatore David Grieco. “Onestamente avremmo potuto vincerlo se avessimo avuto la stesse possibilità degli altri concorrenti ma così non è stato. Per arrivare a vincere l’Oscar bisogna avere fatto campagne di promozione lunghe e costose sostenute da distributori importanti, e non era il nostro caso. Anche alcune uscite negli Stati Uniti e in Inghilterra sono state sbagliate nei tempi”.
“Nessuno ci aveva detto che cosa avremmo dovuto veramente fare, come ad esempio iscrivere il film in tutte le categorie. Abbiamo scoperto che agli Oscar non si parte tutti dalla stessa posizione. Ci sono 10.000 votanti nella fase finale ed era per noi pressoché impossibile farlo vedere a tutti. Mi resta un po’ di rammarico, perché avevamo tutte le carte in regola però pensiamo anche a come gli inglesi, ad esempio, annoverino più di 900 votanti mentre i votanti italiani sono poco più di un centinaio. Insomma c’erano tutta una serie di fattori che andavano a nostro svantaggio. Ma qualcuno, lì, mi ha detto che era sorpreso che Seydou Sarr, per esempio, non fosse stato candidato come migliore attore protagonista“.
Sulla durezza di molte immagini e situazioni del film, Garrone: “La realtà è ancora più dura e quindi ho dovuto lavorare in sottrazione perché se mostravamo con maggiore realismo quanto accade veramente durante i viaggi dei migranti africani, paradossalmente rischiava di passare per falso“.
In quanto ai personaggi: “Ho cercato di umanizzare i numeri perché dietro i numeri che leggiamo sui giornali ci sono persone come noi, come i nostri figli, persone che hanno dei sogni, di avere qualcosa in più di quello che hanno. Poi, rispetto al passato, oggi c’è l’elemento della globalizzazione, con i social che diffondono immagini che sono false promesse, sogni illusori“.
“Pensavo a questo film da 8 anni finché non ho capito che avrei potuto farlo solo stando sempre insieme a coloro che hanno vissuto realmente le tragiche situazioni nei quali si ritrova chi emigra. Potrei dire che l’ho co-diretto, quando addirittura non sono stato spettatore di riprese dirette da loro. Mi sono posto come un intermediario al servizio delle loro storie e dei loro racconti, ed è così che ne è nato un film che considero vero, sincero. A questo proposito mi viene in mente che una delle tante disavventure produttive che ho vissuto per fare questo film è stata anche la bocciatura di Eurimages, il fondo europeo che fino ad allora aveva sostenuto tutti i miei film. Mi è stato detto poi, informalmente, che la bocciatura era dovuta al fatto che era sbagliato, secondo i membri della commissione, trattare un tema così drammatico come se fosse un film d’avventura!”.
Sui suoi giovani protagonisti: “La forza del film è nella forza dei suoi attori, sopratutto Seydou e Moustapha. Voglio raccontare un episodio legato alla scelta di Seydou. Moustapha, all’epoca del casting, frequentava già una piccola scuola di recitazione mentre Seydou non aveva mai recitato prima, benché sia la madre che la sorella erano attrici amatoriali. Il sogno di Seydou, e lo è ancora adesso, è solo quello di giocare a calcio e infatti il giorno del casting a Dakar, ai quali la madre aveva tanto insistito partecipasse, lui non si è presentato, preferendo andare a giocare. Quando la sorella se n’è accorta è andata subito a recuperarlo al campo di calcio ma quando sono tornati nel luogo del casting, erano già entrati tutti quelli che potevano entrare, così hanno preso un taxi per tornare a casa. Durante il tragitto, però, Seydou si è accorto di avere dimenticato le chiavi di casa nel luogo del casting e così sono tornati indietro. E una volta lì, è stato notato e invitato ad entrare. Selezionato per una seconda seduta di provini, ancora una volta non voleva andare, la mamma ha tanto insistito, e poi è andata com’è andata. Il finale di “Io capitano”, in fondo, esprime metaforicamente anche la sua vittoria contro le sue insicurezze”.
Quale la più grande difficoltà durante le riprese del film? “Sicuramente girare senza capire quello che dicevano gli attori, io non so parlare il Wolof! Però ho pensato che se poi avessi scoperto che qualche battuta che veniva pronunciata non corrispondeva a quella del copione, avrei potuto aggiustarla con i sottotitoli. Fortunatamente non è successo anche perché rischiavo di fare una figuraccia!”.
“Io capitano” prosegue il suo viaggio attraverso il mondo. “Ad aprile saremo in Senegal per un tour che partirà da Dakar e poi prevede varie tappe nel paese con caravan e attrezzature per la proiezione nel luoghi dove non esistono le sale cinematografiche, proprio come si usava una volta!”.