Solidarietà incondizionata da parte di tutta la redazione de ilquotidianoitaliano.it a Samantha Dell’Edera, la cronista del Corriere del Mezzogiorno minacciata da alcuni autisti dell’Amtab con frasi sconce in un gruppo  segreto su Facebook.

Fatta la dovuta precisazione a scanso di equivoci, qualche cosa nei denti sulla vicenda Amtab la vogliamo dire. Scrivo con un pizzico di orgoglio e un sorriso affettuoso, mia cara Samantha, perché una di quelle intercettazioni diceva: “Questa è amica di Loconte”, quasi a voler delegittimare il lavoro certosino di inchiesta che stiamo conducendo sui mali dell’azienda, spesso stando proprio dalla parte degli autisti. Per transitività forse anch’io dovrei temere per la mia incolumità. Magari portano tutti e due in barca, poi ti attaccano a me con una corda data la mia mole e ci buttano insieme al largo con la speranza di eliminare due minacce. La nostra solidarietà nei tuoi confronti sarebbe stata totale anche ti fossi chiamata Ugo e fossi stata un omaccione alto due metri. La solidarietà, però, ha preso una deriva sessista che non ci piace affatto. Perché, anche nelle minacce dobbiamo tirare fuori la quota rosa? Perché una minaccia a una donna è più grave di quella che può essere fatta a un uomo? Perché gli apprezzamenti a una donna sono vili e indigeribili?

Samantha come me ha scelto di fare questo mestiere del cavolo e tante volte si sarà trovata in mezzo a situazioni imbarazzanti, altre volte spiacevoli, pericolose forse. Ha scelto di fare questo mestiere consapevole di ciò che sarebbe potuto succedere ogni sacrosanto giorno. Perché se sei uomo nessuno si scandalizza quando qualcuno dice che sei brutto e pelato, e bisogna arrivare a ricevere minacce di morte per avere la solidarietà del mondo intero? Finiamola con questa ipocrisia in gonnella tinta di un rosa che, anche in funzione di questo atteggiamento, si sta colorando sempre più di un rosso sangue.

Ho la certezza assoluta che a nessun autista dell’Amtab, nemmeno al più cattivo nei commenti, sarà venuto in mente per un solo minuto di andare da Samantha per darle una lezione. Nel senso fisico intendo. Ho letto tanti messaggi stucchevoli, che probabilmente a Samantha non sono nemmeno piaciuti. Gli schiaffi in faccia, a due a due fino a quando non diventano dispari, li vogliamo anche noi giornalisti, esattamente come quegli autisti maldestri di quel gruppo che poi tanto segreto non è. Forse quegli apprezzamenti vigliacchi sono stati fatti proprio perché si riteneva quel gruppo segreto. Sono sicuro, Samantha, che se dovessi incontrare uno di quei maschiacci, avresti tutte le carte in regola per prenderlo a tuzzi in faccia. Nessuna giustificazione, per carità. Una sciocchezza resta una sciocchezza, anche quando non immaginiamo in che guaio potremmo andarci a ficcare. Quanto è più facile, però, scrivere di 40 assenze il giorno della finale di Champions (seppure sarebbe stato dimostrato che i numeri non erano quelli) o dei 109 dell’ultimo dell’anno con gli autobus senza catene. Isoliamo i farabutti e saliamo tutti insieme sugli autobus guidati dalla brava gente, da quelli che si fanno il mazzo per portare a casa sana la pelle, schivando aggressioni, tenendo a bada gli esagitati con la paura fottuta che esploda una ruota a 80 chilometri orari.

Così come letto in un pezzo a firma dell’ex caporedattore del Corriere del Mezzogiorno, Maddalena Tulanti, chiediamo anche noi l’intervento del Questore, del Prefetto, del Sindaco, del Presidente dell’Amtab, della Giunta e di tutto il Consiglio Comunale, ma vorremmo che si intervenisse anche per capire com’è possibile che certi autobus-rottame superino i collaudi, con quale principio vengono elargiti soldi pubblici anche per corse mai fatte.

Solidarietà totale alla collega Samantha Dell’Edera e a tutti gli autisti coscenziosi. Condanna infessibile a ogni minaccia; a ciascuno degli autisti lavativi, evidentemente insconsapevole di cosa significhi non poter sfamare una famiglia, ma anche condanna contro tutti quei giornalisti – ognuno sa il fatto suo – che si limitano a dare voce agli strali dell’amministratore di turno, bevendosi solo la sua verità.