Grazie al ricorso presentato d’urgenza davanti al tribunale del Lavoro, ed in seguito all’accoglimento delle istanze da parte del giudice monocratico Maria Giovanna Deceglie, l’assistita dell’avvocato Cristallini, la 42enne Anna Catacchio, imprigionata dalla Sla sin dal 2007, potrà adesso sottoporsi ad infusioni di cellule staminali secondo quanto previsto dal metodo Stamina Foundation.

Intervistato in merito alla questione, Cristallini ha sottolineato l’esistenza di un «protocollo di produzione di cellule staminali attraverso la fondazione creata dal dottor Vannoni» . Un trattamento che però non è previsto dalla legge e non è coperto dal SSN.

Con il provvedimento, che ha reso legge dello Stato il decreto Balduzzi, «non vengono sperimentati il metodo Vannoni o il metodo Stamina. Vengono sperimentate le cellule staminali però con un protocollo diverso rispetto a quello previsto dal metodo realizzato dal professor Vannoni.  Peraltro, la nuova legge offre il fianco a critiche circa le disparità di trattamento per malati che, a differenza di altri, riescono ad essere inseriti nella sperimentazione».

«Viene finanziato con 3 milioni di euro un progetto di sperimentazione per le cellule staminali però in laboratorio farmaceutico e con l’affiancamento dell’Agenzia del Farmaco (che prima aveva praticamente bloccato le infusioni di cellule staminali) e dell’Istituto Superiore di Sanità – continua Cristallini – A questo periodo di sperimentazione, stabilito in 18 mesi e che dovrebbe iniziare dal mese di luglio, sono stati ammessi all’incirca 84 pazienti».

Continuerà,dunque, il paradosso dei giudici che a livello locale contravvengono a disposizioni nazionali? «Il giudice del Lavoro, che è competente per le cause di assistenza e la competenza territoriale viene ancorata alla residenza del soggetto che richiede la tutela della propria salute, può sostanzialmente aggirare i limiti della legge allorquando viola i dettami della Carta Costituzionale».

Cristallini ci tiene però a sottolineare come il trattamento con le cellule staminali sia una cura compassionevole e che «non si è assolutamente certi possa curare o dare miglioramenti».

Potrebbero ripetersi quelle battaglie legali fatte di verità nascoste e dubbi che contraddistinguono oggi la ricerca sul metodo Zamboni sulla sclerosi multipla e che contraddistinsero qualche anno fa la ricerca sul metodo Di Bella per la cura del cancro?

«È chiaro che il rilievo mediatico, che ebbe la cura Di Bella e che adesso ha avuto il metodo Stamina, ha favorito questo iter legislativo seppur non ancora soddisfacente. Per quanto mi consta la cura Di Bella non ha mai guarito un cancro. È una cura sostanzialmente disintossicante che migliorava le condizioni di vita del malato terminale. Per cui, probabilmente, gli esiti sono diversi. La cura con le cellule staminali è molto diffusa all’estero, in molti paesi presso cui i malati italiani a volte si rivolgono, pagando molti soldi. È chiaro: cosa ci sia dietro una fazione o cosa ci sia dietro chi sostiene le staminali, nessuno lo può dire. Gli interessi economici sono altissimi, sia in un senso che nell’altro».

L’ordinanza del giudice Deceglie potrebbe rappresentare una sorta di “grimaldello” per il diffondersi di questo tipo di decisioni anche al sud e non soltanto al nord?

«Ho manifestato, e confermo, la mia disponibilità, per colleghi e non solo, a fornire copia del provvedimento che rappresenta un primo precedente in seno all’Ufficio del Tribunale del Lavoro di Bari. Anche a Taranto un malato ha ottenuto un simile provvedimento di accoglimento della richiesta di ordine di inizio trattamento. Al centro nord ci sono stati alcune decine di tribunali che hanno accolto le istanze dei malati. I tribunali del Lavoro stanno seguendo un orientamento oramai maggioritario».

Nel corso di un incontro organizzato da Le Iene fra Davide Vannoni e Alberto Fontana, consigliere d’amministrazione di Fondazione Telethon, il medico “padre” della cura a base di cellule staminali ha denunciato il rischio che, qualora si concludesse la fase di cure compassionevoli, circa 9mila persone potrebbero iniziare le cure solo fra 7-8 anni. Una preoccupazione propria anche dell’avvocato Cristallini che aggiunge:

«Calcolando i 20 mesi, a partire da oggi, per la fine della sperimentazione, anche se fossero due anni, un malato oggi di Sla non arriverebbe a vedere i risultati. Adesso, invece, può sperare in un iter come quello che ha visto protagonista la signora Catacchio, per avere quantomeno un’aspettativa di vita. Una speranza».

Angelo Fischetti