Nel corso dell’incontro, dal titolo “Raccontare la giustizia: informazione o spettacolo?”, si sono avvicendati gli interventi di Giovanni Zaccaro (magistrato e segretario di Md Bari), di Edmondo Bruti Liberati (procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Milano), di Gianrico Carofiglio (magistrato, scrittore e senatore del Pd), del giornalista di “Repubblica”, Curzio Maltese, e del professor Luigi Pannarale (ordinario di Sociologia del diritto).

Lo scopo del dibattito era “approfondire i limiti del diritto di cronaca, la deontologia del magistrato e del giornalista e le derive spettacolari che assumono certe indagini o certi modi di fare cronaca giudiziaria”. Già, perché come diceva qualche decennio fa il sociologo francese Michel Foucault, alludendo allo ‘splendore’ dei supplizi, “la giustizia, in realtà, è sempre stata un grande spettacolo”.

E lo è tutt’oggi, dove il posto della ghigliottina è stato preso dal meno cruento, ma pur sempre accattivante processo giudiziario, spiattellato in tv su tutti i canali, dai Tg alle trasmissioni di approfondimento e ai talk-show. Per non parlare della Rete, mezzo sempre più importante della comunicazione sociale, la cui rapidità nella circolazione delle informazioni e il minore controllo sulle stesse le attribuiscono una responsabilità maggiore nella spettacolarizzazione. Basti pensare, a questo proposito, alle centinaia di migliaia di visualizzazioni che avuto il link di You Tube contenente la telefonata tra Schettino e De Falco, o alle pagine fan più o meno ironiche su Michele Misseri presenti su Facebook.

Qual è, allora, l’impegno e il ruolo del magistrato oggi? Sempre e instancabilmente la ricerca della verità, ma accompagnata da una minore smania di apparire in tv per avere più di qualche attimo di celebrità, da parte sia dei giudici, sia degli avvocati e dei testimoni. Parafrasando una parte della telefonata ‘incriminata’ cui si accennava prima, il presidente della sede tarantina dell’Associazione Nazionale dei Magistrati, Maurizio Carbone, ha detto che il magistrato deve “rimanere a bordo, sul posto di comando, quando la nave sta affondando”.

E il giornalista, quando si trova fra le mani documenti ‘segreti’, intercettazioni telefoniche, filmati o foto relativi a precise indagini, che gli vengono passati dall’‘amico’ di turno, come deve comportarsi? Pubblicandone solo il riassunto, per non incorrere nella violazione delle norme penali e deontologiche.

La spettacolarizzazione dell’informazione, dunque, va abbandonata, perché – come detto a conclusione dell’incontro dal professor Panarella – essa produce un “vicendevole appropriamento dei ruoli” del magistrato e del giornalista: il primo diventa “un gran comunicatore”, il secondo “un supergiudice”.

Alessandra Morgese