Dodici settembre duemilaquattordici, ore 22:20. InterCity notte, un posto qualunque tra Bari e Foggia. Francesca viaggia con le sue bambine, una di quattro anni, l’altra di uno. Vengono dalla Calabria, destinazione Milano. Per arrivarci in treno devono cambiare a Taranto: «Il diretto non c’è più, ora questa è l’unica soluzione», mi dice.

La grande continua a buttarsi per terra, a toccare qualsiasi cosa, mette le mani nel posacenere. Decisamente questo vagone non è un posto per bimbi. La piccola ha bisogno del pannolino pulito. «Ti dispiace se lo faccio qui? Il bagno non si può proprio utilizzare, fa schifo». Tranquilla Francesca, esco dallo scompartimento così stai più comoda, e conosco Anna.

Viaggia col suo gatto nel trasportino. Siede in corridoio: «Ho il posto prenotato, potrei stare dentro, ma mi dispiace per gli altri, hanno tanti bagagli e non saprei dove mettere Cleo. Pazienza, in fondo non è molto diverso da quando ero più giovane, negli anni ’70. Sembra di viaggiare indietro nel tempo».

Anche le facce sono le stesse, manca solo il venditore abusivo di panini. “Aranciate cocacola panini birraaa”; mi sembra quasi di sentirlo, sono sicuro che tra un attimo spunterà in fondo al corridoio col suo immancabile secchio azzurro colmo di lattine e di panini fatti in casa avvolti nel cellophane che tutti abbiamo mangiato almeno una volta nella vita.

Chissà se la pensa così anche Aldo, seduto poco più in là. Non glielo chiedo, sta parlando al cellulare con la ragazza. Il suo smartphone è l’unica cosa che ti riporta ai giorni nostri. Se non fosse per quello potresti essere davvero negli anni ’70. In fondo, anche il treno lo è.