Dalla barzelletta alla farsa il passo è brevissimo. Il Comune di Palo non si accorge che l’Arca a febbraio del 2017 ha liberato alloggio popolare; 18 case comunali sono occupate abusivamente, persino da persone arrivate da Bitonto; la Commissione provinciale che deve esaminare i 39 ricorsi non si è ancora espressa; dalla Procura non arriva il decreto di sgombero, la disperazione aumenta, ma la colpa di tutto questo è del giornalista che da mesi si sta occupando di segnalare l’obbrobrio burocratico.

Proprio così, il colpevole sono io. La cooperativa proprietaria della struttura dove il Comune ospita fino al prossimo 8 dicembre Giovanni Lamacchia e la sua famiglia, vuole denunciarci per essere entrati in quei locali con la telecamera: violazione della proprietà privata, nonostante non avessimo rivolto alla cooperativa nessuna responsabilità. Giovanni ci ha fatto vedere la “sua” casa d’emergenza, mentre altre sono occupate abusivamente. In quella situazione non ci siamo preoccupati di capire chi fosse il proprietario dei locali assegnati dal Comune.

La cosa peggiore, però, sta nelle minacce di morte ricevute al telefono da una persona vicina alle donne bitontine intervistate nel servizio. Anche in quel caso la telecamera era palese. Madre e figlia ci hanno invitato a salire in casa per denunciare la propria situazione di disagio. La risposta? “Sappiamo dove abiti”, “Ti veniamo a trovare”, “La prossima volta vieni con i Carabinieri perché altrimenti ti spacco la telecamera”, “Ti metto il ca… nel cu…”, “Ti spacco…”. Il campionario è variegato, come ogni volta che vai a toccare un nervo scoperto. Ad essere contestato non è il video in sé, ma i commenti che alcuni spettatori hanno lasciato, condannando la vita di chi poi ha occupato abusivamente. Commenti ai quali qualcuno ha risposto con altre offese e minacce. Un vortice di violenza e assurdità senza fine, perché chi ha il compito di intervenire se la prende comoda, nascondendosi dietro il più classico degli scaricabarile o prendendo come alibi i cosiddetti tempi tecnici.

La disperazione e la giustizia non hanno tempo da perdere, a maggior ragione quando i contesti in cui si sviluppano gli abusi sono conclamati. Abbiamo spalle larghe e schiena dritta, per questo non molleremo l’osso, ma l’assenza totale di buonsenso e il mancato intervento istituzionale sfibrerebbe chiunque, noi compresi. Il nostro compito è quello di sottolineare ciò che non funziona, non certo sostituirci a chi invece ha l’obbligo professionale e morale di restituire dignità ai più deboli.