Il Corriere del Mezzogiorno è in crisi, a Bari come a Napoli, ma per l’editore il capoluogo pugliese conta meno, molto meno di quello campano. Azzeramento di tutti i collaboratori, anche di chi era al Corriere da 14 anni, 7 redattori ij esubero e poi solidarietà tra chi è riuscito a salvare il culo. Si parla di circa il 23 per cento di lavoro in meno, con la conseguente riduzione del 23 per cento sullo stipendio. Dicevamo della solidarietà, perché in questa vicenda di solidale c’è quasi niente. La storia inizia ad aprile, quando dal Corriere della Sera va via il direttore Ferruccio De Bortoli. E che c’azzecca direte voi. C’azzecca, c’azzecca, perché l’Editoriale del Mezzogiorno, proprietaria delle pagine di Napoli e Bari, è controllata al 100 per cento da Rcs.

Un mese dopo, a maggio, il direttore del Corriere del Mezzogiorno, Antonio Polito, va a Roma a fare il vice direttore del Corriere della Sera. Al locale arriva Enzo D’Errico, napoletano ex vice capo redattore del Corriere della Sera. Conoscere la storia è fondamentale. In quegli stessi giorni un grosso quotidiano pubblica la ferale notizia: le redazioni di Bari (Editoriale del Mezzogiorno) e Brescia (Rcs) chiudono entro l’anno. Rcs fa sapere che non ci saranno chiusure, ma il clima resta teso.

In realtà, a settembre, per ammissione dello stesso capo del personale di Rcs, Vito Ribaudo, e del direttore del Corriere della Sera, Luciano Fontana, viene fuori la verità e si scopre che il quotidiano aveva ragione: a maggio le redazioni avrebbero dovuto chiudere, salvo poi un ripensamento. Ma veniamo ai tagli. A settembre viene raggiunto un accordo tra Rcs e il Comitato di redazione del Corriere del Mezzogiorno Bari. Accordo poi ratificato ad ottobre in un incontro romano nella sede del Ministero.

Come detto, si prevede il taglio non immediato di 7 redattori su 16 e il sacrificio di tutti i collaboratori in cambio della sopravvivenza di 2 redattori. La scelta, infatti, era tra la salvezza di tutti i collaboratori (per l’azienda un costo annuo di 200mila euro, includendo anche gli “speciali” e i più costosi editorialisti) e quella di due redattori (valutati 100mila euro l’anno ciascuno). La scelta, per certi versi comprensibile, è stata quella di salvare i redattori, seppure in numero inferiore rispetto ai collaboratori.

Ritorniamo a parlare di solidarietà, non solo di quella salariale di cui i redattori “godono” dalla terza settimana di ottobre. Per i collaboratori il taglio è stato netto e doloroso. Accanto alla storia del collega  mandato a casa il 30 settembre dopo 14 anni, ci sono casi che stanno facendo vedere i sorci verdi ad Rcs, costretta adesso a fronteggiare le ovvie vertenze. Tra i giornalisti di serie B, quelli senza assunzione, c’è anche chi il 30 luglio ha firmato una transazione con Rcs, praticamente un mese prima del crollo. La transazione prevedeva altri due anni di co.co.co. sino a dicembre 2017. Rcs, però, ha fatto sapere che non vuole mantenere gli accordi sottoscritti a Bari nella sede dell’Assostampa, alla presenza di un componente del sindacato e membro del Comitato di redazione. Per la serie: faccio come mi pare.

Tutto questo nel preoccupante ufficiale silenzio del sindacato e, purtroppo, dello stesso Cdr. Solo ufficiale, perché sappiamo benissimo che la perdita di un posto di lavoro non può lasciare indifferente nessuno. Nessuno finora – ma possiamo sbagliare – ha speso una parola per quei “maledetti” collaboratori. Al contrario, ne è stata avallata la morte come non fossero giornalisti come chiunque altro, fondamentali in molti passaggi della storia della testata.

A una collaboratrice, poi, il 30 agosto hanno fatto firmare una sostituzione di un mese per poi darle un clamoroso benservito. Tutto ciò nonostante la collega abbia un co.co.co. che scade a febbraio del 2017. Secondo l’azienda (Editoriale del Mezzogiorno), il contratto di sostituzione avrebbe estinto il co.co.co. Un abominio giuridico – secondo alcuni esperti – perché un contratto non può estinguere un altro se sono di natura diversa. Sembra quasi che si tratti di un’operazione organizzata a puntino, pretestuosa, con la speranza che i giudici possano restituire dignità umana e professionale a chi è rimasto colpito dal silente tzunami.

Invitiamo chiunque a spiegare, precisare, aggiungere rispetto a quanto raccontato. Un altro capitolo è quello legato alla solidarietà dei politici vari. I comunicati profondamente solidali diramati dal presidente della Regione, Michele Emiliano, e dal sindaco di Bari, Antonio Decaro, non parlano di sostegno ai giornalisti del Corriere. La solidarietà è confinata ai redattori. Perché questa specificazione? Peccato, perché nel nostro maledetto mestiere le parole hanno il peso specifico del piombo.

Dicevamo di come si faccia presto a parlare di solidarietà. Le perdite, divise più o meno tra Bari e Napoli in una percentuale rispettivamente dal 60 e 40 per cento, si sono abbattute solo sulla redazione pugliese. Nel periodo della bagarre, secondo quanto è stato possibile apprendere, a Napoli veniva assunta una praticante, mentre altri tre redattori passavano di grado, raggiungendo i livelli di caposervizio e caporedatore. Anche a Napoli ci sarà solidaretà, ma sempre secondo quanto si apprende, traducibile in un giorno di riposo ogni tanto per i 23 redattori. Il Corriere del Mezzogiorno è in Crisi. Si fa presto, però, a chiamarla solidarietà.