É bastato un fotomontaggio divertente e un po’ monello su un articolo del collega Gianluca Lomuto per scatenare le ire dei tanti tifosi del Bari calcio,  agghiacciati dalla prospettiva di rinunciare al Galletto come simbolo di una squadra-città. Nemmeno il nobile e antichissimo Grifone, le cui origini mitologiche si perdono addirittura nelle civiltà mesopotamiche, viene ritenuto degno di sostituire l’umile galletto, che non ha alcun quarto di nobiltà, come del resto il “ciuccio” napoletano, ma ben rappresenta quelle realtà meridionali che hanno saltato la fase storica dei Comuni, e che sono passate direttamente dal latifondo e dalla servitù della gleba all’Unità d’Italia.

Ai tifosi baresi poco importa che un galletto abbia pochissimo appeal se guardiamo dalla prospettiva del marketing internazionale. E che “vendere” un grifone, così simile all’Aquila (e i laziali, ad esempio, sanno quanto un’aquila possa accendere il pathos collettivo e dunque far girare il soldo, come si diceva una volta) possa essere molto più remunerativo di un galletto, sia pure biancorosso.

Ma se il progetto dei Paparesta (padre e figlio) è quello di richiamare investimenti sul Bari Calcio che possano davvero trasformare la squadra in un formidabile affare per chi metterà i soldini, ebbene, la città e i tifosi dovranno rassegnarsi a “perdere qualche pezzo” e a staccarsi definitivamente da un passato che non è più radice o tradizione, ma solo zavorra di cui liberarsi al più presto.

Bari dovrà rassegnarsi, per esempio, a mandare definitivamente in pensione la vecchia caravella della Fiera del Levante, un segno-simbolo che fuori dalla cinta daziaria non vuol dire nulla e sicuramente non può essere “venduto” e “comprato” come fosse la Tour Eiffel o il Taj Mahal, mentre i gadget identitari della Bari futura non potranno essere una bottiglia di birra, un pezzo di polenta fritta, polpi, frutti di mare o simili.

E anche sul Patrono, l’unico segno-simbolo davvero di portata internazionale di cui dispone Bari, bisognerà rassegnarsi a staccarlo dalle piccinerie provinciali in cui è attualmente impaniato (la sagra oscenamente provinciale, un Corteo che manco il dopolavoro ferroviario organizzarebbe peggio, fra le altre cose), grazie anche alla valenza autenticamente ecumenica di questo Santo, davvero amato un po’ ovunque.

Per crescere, insomma, Bari dovrà smettere di giocare con le figurine di quando era una bambina ignorantella e presuntuosa, scegliersi una strada davvero larga e promettente e festeggiare con una bella grigliata. A base, ovviamente, di galletto.