L’Asl Bari è stata condannata a pagare un risarcimento di 1 milione e 800mila euro al marito e alle due figlie di Santa Ricatti, la 34enne deceduta nell’ospedale Umberto I di Barletta il 29 dicembre del 1998 poco dopo aver partorito un bambino privo di vita. Decisione presa dal giudica monocratico del Tribunale Civile di Trani, Luigi Mancini.

La vicenda destò clamore in quanto ci fu un balletto di responsabilità per una trasfusione di sangue che contrastava con la religione della donna, testimone di Geova.

Il Tribunale penale aveva condannato il ginecologo Antonio Luzzi per omicidio colposo, mentre l’accusa per la morte del feto andò in prescrizione. Il processo civile è iniziato nel 2012 con la pesante accusa nei confronti dell’Asl di Bari, di cui nel 1998 faceva parte il nosocomio di Barletta.

Seppur prescritta in sede penale l’ulteriore accusa di omicidio colposo per la morte del feto, il giudice civile scrive che “Luzzi dev’esser riconosciuto responsabile anche per il suo decesso” in quanto “alla luce del materiale probatorio utilizzabile deve del tutto escludersi che l’evento in questione possa qualificarsi – come invece sostenuto da Luzzi – quale evento imprevedibile ed eccezionale, il cui verificarsi esclude ogni responsabilità del medico convenuto. I consulenti nominati nel corso del procedimento penale ed ascoltati nel corso della istruttoria hanno ampiamente chiarito come Luzzi avrebbe potuto e dovuto individuare i segni della sofferenza fetale ed attivarsi tempestivamente. L’Asl Ba risponde delle conseguenze dell’operato di Luzzi, attribuibili all’azienda sanitaria come frutto di attività alla stessa imputabile”.

L’Asl/Ba aveva eccepito la prescrizione del diritto al risarcimento dei danni vantato dai parenti della donna e del figlioletto che portava in grembo ma per il giudice: “il diritto degli attori non è prescritto, atteso che l’eccezione di prescrizione sollevata dalla Asl/Ba è inammissibile” perché tardiva.

Passando alle causali di risarcimento, il Tribunale ha riconosciuto il diritto di marito e figlie della donna al risarcimento del danno non patrimoniale derivato dalla recisione del rapporto parentale “L’Asl/Ba – scrive il giudice Mancini – non ha mai contestato l’esistenza delle conseguenze pregiudizievoli, né sono mai stati dedotti elementi che potessero far presumere l’inesistenza di una sofferenza.”

Il risarcimento tiene conto dell’età dei danneggiati, il marito della Ricatti all’epoca aveva 37 anni mentre le figlie 8 e 10, e del modo assai traumatico nel quale è avvenuto il decesso, nonché del comportamento gravemente colposo imputabile al Luzzi. In entità minore il risarcimento liquidato per il danno conseguito alla morte di Giuseppe.