Non ci fosse stata una segnalazione per rumori molesti ed una successiva richiesta di accesso agli atti, i lavori per la realizzazione di un centro cottura da 6.000 pasti sarebbero andati avanti e avrebbero trasformato un’ala del Redentore in qualcosa di molto diverso rispetto a quanto previsto dal Piano regolatore generale della città di Bari. Sì, perché in una nota del 26 settembre 2017, Pompeo Colacicco, direttore della Ripartizione Urbanistica ed Edilizia Privata del Comune di Bari, e Giuseppe Bruno, direttore dello Sportello Unico per l’Edilizia, scrivono: “La procedura di inizio lavori presentata dall’azienda napoletana E.P. è un’iniziativa privata e quindi al comune resta solo un controllo a campione dell’istanza”.

Per fortuna quel controllo c’è stato e ha verificato una serie di abusi tali da disporre “la sospensione di validità della comunicazione, avendo rilevato una serie di incompletezze” che hanno portato ad aprire un “procedimento sanzionatorio edilizio” e successivamente l’invio delle carte in Procura.

Nei guai è finito anche don Francesco Preite, pur avendo questi inviato una lettera di contestazione alla E.P. s.p.a., l’azienda che stava provvedendo alla realizzazione del centro cottura per partecipare all’appalto da oltre 10 milioni di euro per la refezione scolastica. Poteva don Francesco Preite ignorare che l’azienda affittuaria già dall’anno precedente aveva intenzione di costruire un centro cottura da 6.000 pasti e con quello volesse tentare di accaparrarsi almeno uno dei due lotti dell’appalto comunale per le mense scolastiche? Poteva non sapere che la E.P. aveva partecipato a quell’appalto dichiarando di voler costruire un centro cottura nel Redentore?

Perché consentire all’azienda napoletana di realizzare nell’istituto Salesiano il centro cottura? Cosa avrebbe avuto in cambio, a parte un corso di formazione per cuochi e una mano per la mensa dei poveri? Erano previsti altri benefici oltre ai 12 anni d’affitto? Sta di fatto che l’ingegner Colacicco e l’architetto Bruno scrivono perentoriamente che: “Nel caso in esame la trasformazione della destinazione dell’immobile alla via Martiri d’Otranto, 65 prevista dalla EP. s.p.a. non solo è urbanisticamente rilevante, ma appare di difficile attuazione per renderla coerente con quella indicata dal bando, perché non correlata alla destinazione prevalente insistente all’interno dello stesso complesso immobiliare (per l’istruzione appunto) e quindi in contrasto con la destinazione di P.R.G. per tale area urbanistica”.

Per la serie non è la mensa del Redentore, ma un centro di cottura grazie al quale un’azienda privata avrebbe potuto fare grossi guadagni. Non un’azienda qualunque, ma la E.P., che aveva gestito per conto del Redentore il chiosco della legalità all’interno del parco Mimmo Bucci, prima che alcuni consiglieri comunali d’opposizione rivelassero il coinvolgimento della stessa E.P. in un’inchiesta campana per appalti col sospetto di infiltrazioni camorristiche.

Un’altra domanda che tutti si pongono è relativa proprio all’ammontare dell’ingente investimento per la realizzazione del centro cottura da 6.000 pasti. Come può un’azienda investire tutti i soldi necessari col rischio di non aggiudicarsi l’appalto pubblico? Le domande senza risposta in questa vicenda sono ancora tante. C’è da chiarire, poi, perché Colacicco, poco dopo la prima lettera, il 28 dicembre senta la necessità di pubblicarne un’altra molto più morbida, quasi a voler far perdere peso a quanto scritto precedentemente.