Alla fine le ambulanze della Cri di Roma rimarranno al fresco nei loro garage, come le tante chiacchiere che hanno accompagnato questa triste vicenda durante l’ultima caldissima estate. La Croce Rossa Italiana ha perso definitivamente l’appalto del servizio di emergenza sanitaria gestito dall’Ares Lazio. Dopo essere stata battuta nella fase di gara pubblica per l’aggiudicazione del servizio dalla Heart Life Croce Amica Srl anche il Tar del Lazio, con la sentenza 11732/2015 depositata ieri, ha scritto la parola fine ad una storia evidentemente nata male e finita peggio.

La Cri dovrà abbandonare le ambulanze per dedicarsi ad altro. Lasciando a piedi tutti i suoi volontari che si stanno formando da anni tra brevetti TSSA, patenti 5 e FullD, e che saranno sempre utili per la collettività ma non più per quello che una volta era il core business dell’associazione umanitaria più grande d’Italia. Tra quelli rimasti senza ambulanza ci sono anche i dipendenti, molti militari da tempo assegnati ai servizi di soccorso e tanti tra quelli iscritti nell’elenco dei soggetti che dovrebbero transitare alle dipendenze della neo assegnataria dell’appalto. La stessa lista che oggi è sul tavolo della Procura della Repubblica di Roma perché, secondo la Heart Life, artificialmente gonfiata con nomi di altre persone.

Le ragioni vantate da Croce Rossa, quelle che le avrebbero dato la possibilità di riottenere l’appalto del servizio, non sono state neppure vagliate dai giudici. Che hanno chiuso la questione per una motivazione elementare: il ricorso con il quale si impugnava l’atto di aggiudicazione dell’appalto del 118 è stato depositato oltre i termini consentiti. Si legge infatti nella sentenza “rileva il Collegio la irricevibilità del ricorso atteso che gli atti di gara, approvati con determinazione G00348 del 17 gennaio 2014, sebbene regolarmente pubblicati – e noti alla ricorrente – sono stati oggetto di impugnazione ben oltre i termini di decadenza”. E dunque a niente è servita la maestria di ben tre legali nominati da Croce Rossa Italiana, dato che i termini di impugnazione sono perentori e fissati dalla legge. Tra i dipendenti, oggi arrabbiatissimi, c’è chi interpreta questo episodio non come un errore professionale. Bensì come espediente con il quale la dirigenza di Croce Rossa si è liberata del problema di circa duecento dipendenti in un colpo solo.

Potrebbe essere un ipotesi, sicuramente non delle più eleganti. Come quella che vedrebbe Flavio Ronzi, l’eclettico presidente provinciale di Roma, aver trovato proprio in questi giorni una sistemazione lavorativa personale con un contratto di consulenza presso una prestigiosa clinica privata della capitale. Ma queste sono fortune private, che con lo spettro della mobilità e della disoccupazione per migliaia di lavoratori non c’entrano nulla. Sarebbe facile e suggestivo trovare il filo rosso che collega il replacement lavorativo dei due massimi esponenti di Cri nella sanità privata capitolina ma non tocca a noi farlo.

Noi vogliamo raccontarvi solo i fatti che stanno accadendo. Di come si sta depredando un’organizzazione passata indenne attraverso due guerre mondiali e tre secoli di storia e di come si sta impoverendo il patrimonio di opere sociali e di diffusione della cultura sanitaria che è stato messo in piedi da Croce Rossa Italiana. Mentre voi continuate a chiamarla, se volete, privatizzazione. Tutto qui.