C’è chi l’arte la crea, chi ne fa un approccio alla vita e chi con le mani sa tradurla in una realtà quasi mistica e magica, da vivere in maniera totalizzante e incondizionata. Questa è stata l’opera di Franca Maranò, un’artista che ha saputo fare della sua ricerca espressiva un percorso in cui creatività e vita si sono intrecciate, “cucite” insieme dall’audace filo della sua delicata, ma tenace, sensibilità di donna. A due anni dalla sua scomparsa, è la galleria Misia Arte a dedicarle fino al 2 dicembre la prima retrospettiva, esponendo una selezione delle opere più significative del ventennio Sessanta- Settanta, delineando l’evoluzione del suo linguaggio estetico e stilistico.

A cominciare dalle “Pitture” del periodo informale, caratterizzate dall’utilizzo del colore ad olio e ad acrilico, di cui la Maranò si servì per dipingere sulla tela forme indefinite, le stesse che propone nella sua produzione di ceramista. Già in questi primi lavori è possibile rintracciare dei richiami al minimalismo, ancor più evidenti in quasi tutta la sua opera successiva, insieme a un valore altamente concettuale e simbolico. Con la successiva serie dei “Cuciti” l’artista barese smette di far ricorso alla tela come supporto e insieme all’ago, al filo e ai tessuti, ne fa veri strumenti del suo lavoro, protagonisti di una pratica artistica che non è solo manuale ma soprattutto mentale, dando corpo e forma a un’azione radicale che prende spunto dal movimento femminista. È quello realizza fra il ’76 e il 77′ con gli “Abiti mentali“, concepiti come un pensiero da indossare, un’idea che unisce la pratica performativa a un certo costruttivismo. Con quest’operazione la Maranò riesce a concretizzare attraverso una raffinata abilità manuale il suo pensiero più profondo, traducendolo in un lavoro di ricerca che corrisponde esattamente a una ricerca interiore.

Se la tela grezza delle “Stoffe” si può far risalire ad Alberto Burri, così come i 4 inediti “Light box” esposti in mostra richiamano lo Spazialismo di Lucio Fontana, Franca Maranò ha sempre dimostrato tuttavia una propria autonomia e indipendenza, una libertà dei codici espressivi che rende il suo stile estremamente autonomo e personale. La curatela della mostra si deve alla professoressa Christine Farese Sperken, coadiuvata dalla collaborazione di Vania Di Lauro, Lilliana Tangorra e Nicola Zito. Una retrospettiva che non solo ci restituisce uno spaccato dell’arte progressista a Bari, ma più in generale della storia delle neoavanguardie in tutta la Puglia, omaggiando una delle sue protagoniste.

Fondamentale è stato infatti il doppio ruolo della Maranò nel panorama dell’arte locale: se da un lato la sua ricerca si è rivelata pioneristica nella sperimentazione di tecniche e materiali diversi in un contesto artistico e culturale ancora relegato a una dimensione piuttosto conservatrice, dall’altro non si può dimenticare il prezioso e lungimirante lavoro svolto con la storica galleria d’avanguardia Centrosei, di cui è stata certamente l’anima e il pilastro femminile. Sostenitrice e promotrice di molte altre donne artiste che in quegli anni arrivavano in Puglia e che, come lei, rivendicavano il proprio ruolo e spazio in ambito artistico, Franca Maranò è solo uno dei tanti esempi di artisti, seppur locali, di assoluto valore internazionale, il cui limite è stato quello di crescere ed evolversi in una zona marginale come la provincia.

La mostra è visitabile fino al 2 dicembre
Via Putignani 153
Ingresso libero

Orari
Lunedì: 13.30- 20.00
Martedì- Venerdì: mattina 10.00- 13.00
Pomeriggio: 16.30- 20.00

Info
080 521 2826
www.misiaarte.it
[email protected]