Cade al Policlinico e attende tre giorni su una poltrona in attesa di una visita. La protagonista di questa vicenda è una donna barese che aveva accompagnato suo marito al Policlinico di Bari per un’operazione, ma la signora è malauguratamente caduta in ospedale procurandosi la frattura dell’omero del braccio sinistro.

Dopo aver chiamato tre volte l’ambulanza ed aver atteso il suo arrivo nella struttura stessa, la donna ha dovuto vivere una vera e propria odissea: mai nessuno avrebbe immaginato che avrebbe passato ben tre giorni seduta su una poltrona del Pronto Soccorso con una flebo, senza né cibo né acqua, in attesa che qualcuno facesse qualcosa. La risposta della direzione sanitaria del Policlinico è stata: “E io che posso farle?”. Il figlio ha deciso di denunciare l’accaduto con un lungo post sui social, sperando che possa arrivare a chi di dovere.

“Mi chiamo Giuseppe Tangorra e abito in Veneto ma sono di Capurso, in provincia di Bari. Oggi voglio raccontarvi quello che ci sta succedendo, sperando che questo post arrivi a qualcuno che possa risolvere la situazione. Il giorno 5 luglio 2021 sono sceso dal Veneto in Puglia per alcuni lavori che dovrò fare nei prossimi giorni, approfittando del fatto che mio padre il giorno 8 luglio si sarebbe dovuto operare in chirurgia vascolare e dare cosi anche una mano in casa. Come sappiamo, prima di accedere in ospedale per un ricovero bisogna fare un tampone Covid. Quindi mio padre, accompagnato da mia madre per via delle sue difficoltà deambulatorie (motivo dell’intervento operatorio), si è recato al Policlinico di Bari per farselo”.

“È proprio in quell’occasione – continua il ragazzo – che la mamma, intorno alle ore 12, cade all’interno del Policlinico accusando diversi dolori al braccio e in altre parti del corpo. Non appena constatata l’impossibilità di movimento, visti anche i problemi di mio padre, tramite il supporto di un signore, chiamano un’ambulanza per poter soccorrerla. Mio padre ha chiamato ben per tre volte l’ambulanza dato che non arrivava dal momento della prima chiamata all’arrivo, nella stessa struttura, sono passati 45 minuti. Come se non bastasse mia madre, portata poi in pronto soccorso, ha dovuto attendere ancora tante, troppe ore per essere visitata e avere poi i risultati degli accertamenti fatti”, quanto scritto dal figlio.

“Alle 19 circa -prosegue il racconto -, dunque a sette ore dalla caduta, i familiari, madre compresa, sono stati avvisati che si trattava di una frattura scomposta all’omero del braccio sinistro. La donna, fanno sapere i medici, sarebbe dovuta restare in pronto soccorso in attesa che si liberasse qualche posto in ortopedia ‘tutta piena, purtroppo’. Questo però  senza mettere in fermo il braccio subito – sottolinea il figlio -, cosa che ha cercato di fare da sola, e sappiamo tutti credo in caso di rottura quanto importante sia avere il braccio più fermo possibile. Tutto questo senza avere acqua ne cibo ne antidolorifici”.

Arriva così il 6 luglio, giorno successivo all’incidente della donna e, solo allora, finalmente “Riceve una flebo di antidolorifico (la prima delle tante, senza aver mangiato), dopo averle messo il tutore al braccio, la sera prima, nel frattempo erano passate più di 20h dalla caduta. Dopo aver chiesto più volte se si fosse liberato un posto, ci hanno risposto che in nessun ospedale della Puglia c’erano posti liberi e si pensava di trasferirla fuori regione. Abbiamo perciò anche chiesto se potesse essere operata comunque li e poi sistemata in un altro reparto, cosa che comunemente si fa”.

“Al Policlinico di Bari – prosegue – questa cosa non è permessa. Quindi, ragionandoci un attimo su, un intervento chirurgico di importanza primaria (dato che se non c’è più circolo con il braccio in queste condizioni si può perdere la mobilità dell’arto) passa in secondo piano, rischiando appunto di compromettere le funzionalità di una parte del corpo. Un po’ alterato e un po’ preoccupato, ma comunque con molta calma, ho chiamato direttamente in direzione sanitaria del Policlinico di Bari, spiegando la situazione. La risposta? “E io cosa posso farle?”.

“La giornata del 6 luglio è passata quindi cosi – scrive il figlio – con mia madre sistemata su una poltrona nella sala d’attesa del pronto soccorso di Bari con decine di altre persone, in periodo Covid, senza acqua, senza cibo, se non quello che siamo riusciti a portarle noi o qualcosa che magari riesce a comprare dalle macchinette”.

Si arriva poi al giorno corrente alla scrittura del post: “Veniamo ad oggi, 7 luglio sono passate ormai 48 ore dalla caduta e mia madre è ancora cosi, su quella poltrona della sala d’aspetto, con continue flebo di antidolorifici e senza possibilità di essere ricoverata e operata, con mio padre ricoverato nel reparto di chirurgia vascolare sempre del policlinico di bari (per caso proprio di fronte alle finestre del pronto soccorso) e con loro due che si affacciano dalle finestre per salutarsi. Ora, vorrei chiedere al presidente della regione Michele Emiliano, al sindaco di Bari Antonio Decaro e a chiunque altro legga, se è normale tenere una persona cosi tante ore in una sala d’aspetto di un pronto soccorso, senza assicurargli almeno un po’ d’acqua fresca, senza sapere cosa succederà, senza avere possibilità di operarsi, con tutti i rischi che può avere una situazione del genere. Cari amici baresi, voglio concludere dicendovi di fare molta attenzione quando camminate o fate qualcosa in qualsiasi attività della vostra giornata per favore, per il vostro bene, cercate di non farvi male altrimenti se malauguratamente finite in un ospedale rischiate di restare li nel limbo senza sapere quando riuscirete ad operarvi”, conclude amareggiato il figlio.