“Siamo in isolamento da due settimane, da quando mia cognata disabile al 100%, con disabilità mentali, è risultata positiva al coronavirus. Lo abbiamo detto al medico di famiglia che lo ha segnalato alla Asl per due volte, ma non ci ha chiamato nessuno, e siamo chiusi in casa ad aspettare. Per fortuna avevamo fatto provviste alimentari, ma dopo due settimane stanno finendo”. Vito, barese di 60 anni, è prigioniero in casa sua, dove vive con la moglie.

Da quando è scoppiata la pandemia del coronavirus, per proteggerla da possibile contagio, hanno congedato temporaneamente la badante e accolto in casa la cognata 58enne. Teresa ha bisogno di essere seguita; fino ai primi di novembre frequentava un centro diurno ad Adelfia, ma proprio dai responsabili della struttura sono stati invitati a farle fare il tampone per un caso di covid che hanno riscontrato.

“Quando è venuto fuori che era positiva ci siamo messi in isolamento e avvisato il medico – racconta Vito a telefono -, da allora stiamo aspettando di poter fare il tampone, ma finora nessuno ci ha chiamato. In casa non abbiamo possibilità di distanziamento, la cosa drammatica è che mia cognata è diventata ingestibile e noi non sappiamo più come fare, non dormiamo più”.

“Abbiamo chiamato noi stessi la Asl, il ministero della Salute, tutti i numeri che abbiamo trovato in giro, ma non c’è stato verso di parlare con qualcuno, né per il tampone a mia moglie e me, né per un secondo tampone a mia cognata – conclude -. Non sappiamo nemmeno se noi siamo positivi”.