Manca la prova della corruzione. Questa, in buona sostanza, è per la Corte d’Appello di Bari la motivazione che a settembre scorso ha portato all’assoluzione di Raffaele Fitto nel processo così detto “La Fiorita” che lo vedeva imputato perché accusato di aver favorito, in cambio di una tangente da 500mila euro sotto forma di finanziamento al partito, l’imprenditore Raffaele Angelucci.

«Una telefonata non è sufficiente a ritenere che Angelucci abbia effettuato il finanziamento del partito di Fitto come prezzo pagato per l’aggiudicazione dell’appalto» scrivono i Giudici. Il reato, in pratica, non sussiste, il finanziamento a “La Puglia Prima di Tutto”, invece è ritenuto irregolare, ma ormai prescritto.

L’appalto in question è quello per la gestione delle residenze sanitarie assistenziali, in primo grado Fitto era stato condannato a 4 anni, all’epoca dei fatti era Presidente della Regione a un anno dalla tornata elettorale che lo vide perdere contro Nichi Vendola.

«L’accusa avrebbe dovuto fornire la prova certa che l’iniziativa (le delibere sulla gestione delle rsa, ritenute regolari) fosse il frutto di un accordo criminoso» scrivono i Giudici di secondo grado «dare per dimostrato tale accordo sulla base di un contatto telefonico della durata di tre secondi è fuori di ogni logica fattuale, prima ancora che giuridica».