“Non ho nessuna paura”, aveva detto il sovrintendente Biscardi annunciando la presenza di clan – non specificando di che tipo – all’interno del teatro Petruzzelli. Lo diceva durante la conferenza stampa di presentazione della nuova stagione. L’affermazione, fortissima, aveva fatto il giro d’Italia prima di perdere peso con la rettifica dello stesso Biscardi, ascoltato dalle Commissioni Trasparenza e Cultura del Comune di Bari. Quei clan erano da intendersi all’anglosassone – aveva precisato – con l’accezione di famiglia. Senza entrare nel merito, però, di quale famiglia si trattasse: amici degli amici, tesserati di partito, figli di un’unica raccomandazione. Una rettifica abbastanza frettolosa, ma possiamo comprendere, soprattutto in considerazione dell’aria tesissima che si respira dietro le quinte.

Secondo alcune indiscrezioni, ci sarebbe qualcuno che continua a minacciare e qualcun altro che non ha mai smesso di essere minacciato, anche psicologicamente. La questione è serissima e molto poco anglosassone, sopratutto perché, oggi come l’anno scorso, avviene alla vigilia dell’assegnazione di una gara d’appalto. Per tutelare le persone coinvolte in questa vicenda, che poco ha a che fare con la cultura e l’arte, ci sono particolari che non possono essere riferiti. Alcuni degli episodi sono stati denunciati formalmente. Il clan, indipendentemente dal reale sgnificato che voleva dare il sovrintendente a quella parola di derivazione anglosassone, non gradirebbe chi rema contro. Una cosa è certa. Su ciò che avviene a teatro c’è qualcuno che evidentemente non vuole venga fatta chiarezza.

Il Petruzzelli sembra essere uno stato indipendente in mezzo a una città anestetizzata, in cui è più comodo fare finta di niente. Voci, abusi, sospetti, minacce, fraintendimenti, soldi spesi senza essere certi di averli e, a nostro avviso, anche molti documenti inaspettatamente sottovalutati o mai palesati, meriterebbero un maggiore approfondimento nelle sedi competenti.