Zaino in spalla, al cui interno una bottiglia d’acqua, un asciugamano, un paio di costumi, qualche cambio, un quaderno, una penna, un cellulare con annesso caricabatterie e un portafogli, utile solo come portadocumenti, perché privo di soldi, se non qualche spicciolo. Così, Adolfo Rosato, 36enne di Mesagne, è partito domenica 11 giugno da Apani, una località balneare in provincia di Brindisi, per arrivare in circa 17 giorni a Milano (o forse Torino, lo deciderà in itinere), dimostrando al mondo e a se stesso che per viaggiare, aprire la mente, perdere lo sguardo in nuovi orizzonti, non c’è bisogno di una Black Mastercard, ma di forza di volontà, una buona dose di incoscienza e molta fiducia nel prossimo. Il ragazzo pugliese ha deciso di intraprendere una di quelle avventure estreme, destinate a lasciare il segno, attraversando in lungo e largo lo Stivale senza soldi, né auto, ma con coraggio, spirito d’adattamento e soprattutto la testa sgombra dai pregiudizi.

Adolfo si è posto l’obiettivo di ritrovare il volto più bello e umano dell’italianità, quello che si nasconde fra i vicoli delle città antiche dove la gente è ancora predisposta al dialogo e all’ascolto, in cui vibra quella fanciullezza ancestrale e artigiana, capace di creare lavoro dal niente. Adolfo va alla ricerca di chi sa meravigliarsi, delle reazioni sorprese dinanzi al racconto della sua “Italia Express“, della disponibilità genuina dei negozianti che gli offriranno un caffè o un pasto caldo quando sapranno del suo “esperimento sociale“, dei sorrisi di chi vive ai margini. Due le regole che il 36enne si è imposto in questa sfida, sempre documentata attraverso la pagina Instagram “17giorni0euro“: non richiedere né accettare mai denaro e non restare più di un giorno nello stesso luogo! Abbiamo chiacchierato con Adolfo che ci ha raccontato per filo e per segno la sua idea e come sta andando questo viaggio.

Adolfo, quando è cominciato tutto?
“Un giorno avevo voglia di andare al mare, ma non avevo l’auto. Così mi sono rivolto a un amico e gli ho chiesto il favore di accompagnarmi a Torre Guaceto, con la promessa che sarebbe venuto a riprendermi dopo le 18, alla fine del suo turno lavorativo. Così è stato. Sono arrivato in spiaggia, ho steso l’asciugamano sulla sabbia e ha cominciato a diluviare. In men che non si dica ho ripreso tutto e cercato un riparo. Poi ho aspettato che la pioggia smettesse e mi sono incamminato verso Brindisi. A quel punto ho pensato fosse inutile chiamare il mio amico e mi sono messo a fare l’autostop in mezzo alla strada per avere un passaggio fino al capoluogo di provincia, da dove poi potevo prendere un treno Mesagne, il mio paese. Alla fine i tre quarti del percorso li ho fatti a piedi, ho avuto un passaggio solo per pochi chilometri. In quella lunga camminata mi è venuta l’idea di tentare un esperimento sociale: intraprendere un viaggio da Apani al Nord Italia, che sia Milano o Torino, e farlo senza denaro, con uno zaino in spalla e i beni di prima necessità. Mi è sempre piaciuto viaggiare, ma non ho mai avuto la possibilità perché con i vari lavori che ho fatto, dalla ristorazione alla fabbrica, non potevo permettermelo. Adesso sono disoccupato e ho pensato fosse una buona occasione per reinventarmi e avere nuovi stimoli”.

Da dove sei partito e dove sei oggi?
“Sono partito da Apani, la litoranea brindisina adriatica, ben 9 giorni fa. Le mie tappe sono state Brindisi, poi Lecce, Polignano a Mare, Bari, Foggia, Termoli, Pescara, Ancona e oggi sono diretto a Rimini. Mi sono spostato con autobus e treni, alcune volte anche con l’autostop. Sto incontrando molta gente durante questa avventura che sta appoggiando il mio progetto, lo accoglie con entusiasmo, regalandomi un biglietto per una tratta su un mezzo pubblico, così da permettermi di raggiungere la meta successiva”.

Come spieghi questo tuo percorso alla gente che incontri?
“Racconto loro che ho intrapreso un esperimento sociale in cui viaggio per l’Italia senza soldi in tasca. Tutti restano piuttosto spiazzati all’inizio, credono sia una follia, e in effetti un po’ lo è, ma è molto entusiasmante. Sto ricevendo molti stimoli soprattutto dalle persone in cui mi imbatto, non mi fanno sentire la stanchezza del cammino, mi danno molta carica positiva a livello energetico ed emotivo. Poi, ovviamente, ho incontrato anche molta gente che si è rivolta a me in modo piuttosto negativo, insultandomi o dicendomi di andare a lavorare, non capendo lo scopo del mio cammino. Forse pensavano fossi lì per chiedere soldi, eppure una delle due regole alla base di questo esperimento è che non posso accettare denaro da nessuno. Ci sono stati due casi di persone che volevano darmi un aiuto economico, è successo anche a Bari. Ma ho rifiutato categoricamente, non voglio assolutamente toccare soldi”.

Come mai hai questa repulsione nei confronti dei soldi?
“Lavorando come cuoco e pizzaiolo ho capito che c’è un dilagante spreco di cibo, e di conseguenza di denaro, in barba a chi non può permettersi nemmeno un pezzo di pane. La mia è in qualche modo una lotta simbolica contro il capitalismo. Voglio dimostrare che non devi per forza essere ricco per compiere un percorso importante, bisogna avere la volontà, mettersi in gioco, instaurare rapporti con le persone, avere il coraggio si esprimere la propria opinione. Oggi non si dialoga più con gli altri faccia a faccia, è bello comunicare le proprie idee, raccogliere feedback, confrontarsi, anche per poter crescere, e questo viaggio mi sta dando una bella occasione per farlo”.

Qual è l’obiettivo del tuo esperimento sociale?
“Riuscire a trovare un luogo o una comunità dove io possa esprimermi al meglio, dando spazio alla mia creatività, in tutte le forme possibili. Che sia l’arte, la cucina, l’artigianato o la musica, e cercando magari di coinvolgere quante più persone possibili, invogliandole a esprimere i propri talenti, che non hanno nulla a che fare con la monotonia dei lavori seriali, che finisce per reprimere le emozioni e le passioni di ciascuno. Vorrei trovare un posto che mi dia la possibilità di essere me stesso. Vorrei trovare un lavoro, magari nel mondo della ristorazione che mi offra la possibilità di mostrare chi è il vero Adolfo. Chissà se viaggiando non troverò anche l’amore”.

Nel tuo paese non sei mai riuscito a esprimerti come avresti voluto?
“Purtroppo no, affatto. Io ho vissuto 10 anni a Imola, lavoravo come operaio in una ditta di verniciatura di scaffalature per i supermercati. Inizialmente assemblavo dei banchi di cassa, poi mi hanno spostato nel comparto vernici dove ho lavorato per 3 anni. Si prospettava un contratto a tempo indeterminato che non è mai arrivato perché c’è stato il fallimento di un settore di questa azienda, per cui hanno dovuto lasciare a casa gli indeterminati e gli interinali, tra cui c’ero anche io. Quando ho perso il lavoro ho sofferto tanto, sono caduto in depressione e il mio istinto mi ha consigliato di tornare a Mesagne perché mi mancava la mia terra, le persone che mi vogliono bene. Poi quando sono tornato giù, purtroppo ho notato che non era cambiato quasi nulla. Nel mio paese mi sento molto stretto, non riesco a esprimere davvero chi sono”.

Che messaggio vuoi lanciare?
“Credo sia importante cercare di sensibilizzare le persone all’ascolto dell’altro, all’aiuto del prossimo, raccontandosi, ma soprattutto ascoltando. Vorrei che questo esperimento sociale sia un modo per far capire che le persone perbene esistono ancora. Quando sono stato a Polignano a Mare ho dormito in una grotta vicino alla spiaggia, era piena di pietre in cui erano stati conficcati mozziconi, rifiuti in plastica. Prima di sistemare il mio giaciglio ho ripulito tutta la zona e ho riempito una busta intera di spazzatura che la mattina dopo mi sono occupato personalmente di buttare negli appositi contenitori per la differenziata. Ecco, questa esperienza mi sta dando la possibilità di andare in giro per l’Italia e testimoniare tutto quello che vedo e vivo a contatto con la natura dei nostri territori, spesso distrutta dalla nostra superficialità”.

Come hanno reagito i tuoi parenti e amici?
“Inizialmente non proprio bene, mia madre è in assoluto quella che l’ha presa meglio. I miei amici credevano fossi impazzito, ma quando hanno visto che sto continuando, che ero ormai al quarto-quinto giorno di viaggio hanno iniziato a sostenermi. Da quel momento in poi hanno cambiato atteggiamento, spronandomi a proseguire”.

Con che bagaglio sei partito e cosa credi ci sarà dentro alla fine di questo percorso?
“Nello zaino avevo e ho ancora un asciugamani, due costumi, i pantaloncini, una penna, un quaderno, dei fogli per dei work out di 10 minuti che faccio ogni tanto, un cronometro, il portafogli con i documenti e qualche spicciolo, una bottiglia d’acqua, il cellulare e il caricabatterie. Oggi ho tre zaini, grazie ai doni che ho ricevuto nelle varie città in cui sono passato. Per esempio, questo maglioncino che ho addosso me l’ha regalato Nunzia di Bari Vecchia, la signora delle orecchiette, che è stata carinissima con me. A Bari vorrei tornarci perché ho trovato persone davvero fantastiche, tra cui Antonella che mi ha fatto regali che non mi sarei mai aspettato nella vita. Non riesco a trovare ancora le parole per ringraziarla. Dopo aver ascoltato la mia storia e il mio progetto questa donna mi ha regalato una borsa con all’interno una power bank, due cavi per caricarla, brioches, un sacco a pelo, un succo al mirtillo, una stuoia per isolarmi dal suolo, 4 bottiglie d’acqua, tantissime cose. Poi mi ha regalato un biglietto del treno per viaggiare da Bari a Foggia, non voleva facessi l’autostop. Ho conosciuto questa bellissima persona al bar Caliente di Daniele e Alessia, anche loro meravigliosi. Daniele all’improvviso è uscito dalla cucina con un piatto di pasta per me, stavo per mettermi a piangere dalla gioia. Sono stato davvero felice dell’accoglienza che ho avuto a Bari, anche se non è stato facile trovare un alloggio. Ho girato quasi tutte le chiese, ma non sono riuscito a trovare un luogo dove fermarmi. Poi ho incontrato Don Franco che inizialmente mi ha scambiato per un pellegrino, anche se, come dargli torto, un po’ effettivamente lo sono; mi ha dato la possibilità di fermarmi la notte in sagrestia, spiegandomi che però non c’era il letto. Mi sono adattato e ho dormito su un tavolo. Invece a Brindisi ho trovato un dormitorio comune grazie a un ragazzo senegalese. Lui mi ha portato in questo posto in cui c’erano più di 100 persone in ambienti stretti e in condizioni igienico-sanitarie davvero precarie. C’è stato un giovane che mi ha ceduto il suo letto per quella notte, una scena incredibile. Questo mi ha fatto capire quanto sia infinitamente bello entrare a contatto con l’umanità, guardare negli occhi tutti, dai primi agli ultimi e cogliere il buono che ciascuno può darci, portarcelo dentro, trarne ispirazione per creare bellezza e nuove opportunità. Questa è la ricchezza che ci sarà nel mio bagaglio quando farò ritorno a casa”.