Gli equipaggi di rianimazione del 118 usati a sproposito come servizio navetta verso gli ospedali o per avere un medico curante comodamente a domicilio. Gli abusi ormai non si contano più, ma ciò che preoccupa è l’inerzia delle istituzioni.

“Posso dimostrare la deriva a cui siamo arrivati con documenti alla mano – tuona Francesco Papappicco, segretario FSI-USAE -. Ormai usciamo spesso a sirene spente per andare a cambiare un catetere, per trattare distorsioni avvenute giorni prima in soggetti senza ‘passaggio’ per l’ospedale o, peggio ancora, per richieste di accertamenti con tanto di ricetta del Servizio Sanitario Nazionale”.

La cosa più grave, però, a sentire Papappicco: “È scoprire che è stato un medico, un collega, a suggerire di utilizzare il 118 come taxi o per tentare di evitare la coda ai pronto soccorso”. Papappicco affonda, chiamando in causa le dichiarazioni giudicate a dir poco inappropriate di Giancarlo Ruscitti, sulle presunte perdite di tempo generate dagli equipaggi prima, durante e dopo gli interventi.

“È scandaloso, ai limiti della vergogna – tuona il medico del 118 – trovarsi assegnato un codice di missione così detto ‘giallo’, cioè di una certa importanza da chi, presumibilmente competente, interpreta a modo suo ciò che non lascia spazio alle interpretazioni”. Il riferimento ai comandi che giungono agli equipaggi dalla Centrale operativa è chiaro.

“Capita di lasciare a lungo il territorio scoperto per inseguire improbabili fantasie diagnostiche telefoniche – racconta Papappicco – e trovarsi all’ultimo piano di un vecchio edificio senza ascensore, davanti ai figli di un anziano autonomo fino al giorno prima, che candidamente ti riferiscono: il dottore ci ha detto di chiamare il 118 perché non sappiamo come scendere papà e abbiamo letto esattamente quello che ci ha prescritto, non è colpa nostra. Da ieri si è gonfiato il ginocchio e non riesce a camminare”.

Ma una volta sul posto che succede? “A quel punto  – continua -, considerando che non è stato neanche interpellato un mezzo India, ti carichi l’infermo, peraltro in buone condizioni, e affronti il gravoso trasporto. Giunti in pronto soccorso, poi, ti aspetta un’attesa variabile dai venti minuti, ad essere fortunati, a qualche ora, specie se hai un codice minore.

Ai dottori Emiliano e Ruscitti, che vorrebbero ‘professionalizzarci’ al più presto sotto il marchio AREU, chiederei di provvedere anche a istituire corsi formativi di trasporto gratuito sicuro; sollevamento pesi indoor e ancora un call center dedicato per richieste esami di laboratorio e radiografie; un prontuario per assistenze domiciliari integrate; consulenze e linee guida per il counseling telefonico e l’approccio all’infermo non complicato”.

Il medico e sindacalista non è certo il primo a sollevare la gravosa questione, che ormai avrebbe raggiunto livelli di guardia. Prima di mettere in piedi l’ennesimo carrozzone, sarebbe il caso di provvedere con azioni concrete a riconsiderare e far comprendere il motivo principale per cui è nato il servizio 118″.