Tre chili in meno, ma soprattutto la pericolosa l’interruzione dei farmaci per la sua malattia cardiaca. Il 43enne ex militare della Croce Rossa, Stefano Ceresani, da Frosinone, non ha nessuna intenzione di sospendere il suo sciopero della fame. «Andrò avanti con la mia protesta fino a quando non mi ridaranno il lavoro che mi hanno tolto ingiustamente», ci aveva detto il 19 maggio scorso. Detto, fatto. Da allora non è cambiato molto. I vertici della Croce Rossa continuano a essere silenti e mentre tutti aspettano l’apertura del tavolto tecnico promesso dal Governo per rivedere l’assurda privatizzazione dell’ente, l’ex militare non intende indietreggiare di un passo.

Della sua siutazione e di quella dei colleghi si è nel frattempo interessanto l’onorevole pentastellato Luca Frusone, della Commisione Difesa della Camera. Nei prossimi giorni il rappresentante del Parlamento italiano ha annunciato di voler incontrare tutti i dipendenti ed ex dipendenti del corpo militare della Croce Rossa.

Intanto il caso di Stefano Ceresani ha fatto il giro d’Italia. Potere della rete. Nonostante il clamore, però, nessun segnale che facia pensare all’avvio di un dialogo con chi potrebbe avere l’ultima parola. Ceresani è stato sbattuto fuori dal 31 marzo 2014, nonostante il Collegio Medico del IX Centro di Mobilitazione di Roma, lo avesse giudicato idoneo ai servizi sedentari. La sua situazione – lo ricordiamo – era precipitata a causa di un infarto. Avrebbe potuto lavorare in Centrale operativa, ma non gli è stato concesso di fare neppure quello.

È passato più di un anno da allora e al sopruso non è stato ancora posto rimedio. Chissà se Francesco Rocca, il presidente della Croce Rossa, possa avere il tempo di convocarlo per discutere della questione, ora che è anche stato nominato direttore generale dell’IDI, l’Istituto dermatologico Italiano.