«Noi quel giorno avemmo un enorme problema informatico – riferisce Stea – ma non “noi” pronto soccorso. tutto il Policlinico è stato cieco per due giorni». La rete informatica dell’ospedale era saltata in ogni reparto. Non solo i terminali per la registrazione dei pazienti in entrata e in uscita erano off line, ma ogni pc in ogni ambulatorio era bloccato al punto che referti e dati d’accesso e uscita venivano registrati in forma cartacea.

«Quando ha iniziato a essere pubblico l’evento (del ragazzo, n.d.r.), – dichiara il dot. Stea – la mia caposala ha parlato con le due infermiere e l’ausiliaria che erano di triage in quel momento (al tempo dei fatti, n.d.r.). Loro ricordano perfettamente la persona. Non solo, una delle due infermiere ricorda con estrema precisione di avergli spiegato tutta la situazione e di avergli mostrato anche lo schermo per fargli capire che era proprio impossibile risalire a dove fossero i nonni, perché c’era questo blocco, per cui: “mi scusi, non so come fare”».

Le infermiere, quindi, stando alle dichiarazioni del dottor Stea, negano di aver continuato a usare i loro cellulari mentre il ragazzo chiedeva informazioni sui suoi parenti. «Poi – continua il primario – il compito del personale in triage è quello di stare là ad aspettare le persone da valutare. Se non c’è nessuno, che leggano un libro o guardino il telefonino poco conta». Considerazione che condividiamo, fintanto che si parla di occupare i tempi morti.

Il primario del pronto soccorso, dunque, difende l’operato del suo personale, dipingendo un quadro sostanzialmente diverso da quanto narratoci da M. «L’unica pecca che trovo – conclude il dottor Stea – è che forse l’ausiliaria poteva evitare di dire: “provi a telefonare al cellulare”. Per quello è stata ripresa, dicendole che sarebbe stato meglio che usasse una forma più garbata».

27 aprile 2013

Pasquale Amoruso