Giovedì 6 aprile alle 18.30 nel Castello Caracciolo, a Cellamare di Bari, sarà presentato il libro, “Nessuno resti indietro” (edito Velar) del giornalista e scrittore Roberto Alborghetti. Ad accogliere l’autore, il Sindaco Michele De Santis e l’Assessora alla cultura e alle pari opportunità, Fiorenza Carbonara. Dopo “Francesco”, la maestosa opera dedicata a Bergoglio che ultimamente si è arricchita di altri nuovi sette capitoli, lo scrittore torna a raccontare il Papa e alcuni dei più recenti temi da lui trattati. La riflessione che ne deriva, diventa richiamo accorato per noi e monito per un sistema sociale che enfatizzando a dismisura il concetto di Individuo oscura quello di Persona. L’effetto più evidente di questa mancata autocoscienza è un rassegnato, quanto generalizzato, adattamento della società agli standard più bassi – dal lavoro, alla sua organizzazione, alla tutela della vita – fino all’emarginazione.

Ecco che Misericordia, Dignità e Lavoro, le parole più pronunciate da Francesco, da un lato sono un’esortazione a riconsiderare l’importanza delle buone prassi generate da una morale naturale innata nell’uomo; dall’altro la denuncia di un diffuso malessere sociale. L’analisi del Papa, dunque, non è mera osservazione, ma un concreto invito per tutti a uscire da questa condizione di chiusura per dare vita a un “nuovo umanesimo del lavoro” perché nessuno resti indietro.

“Nessuno resti indietro”, una riflessione sulle tematiche sociali recentemente trattate da Papa Francesco. Chi sono gli interlocutori del Papa?
«I suoi interlocutori diretti sono gli esseri umani, è il mondo, è l’umanità intera. Certo, durante il suo episcopato a Buenos Aires, il futuro Papa Francesco si rivolgeva alla realtà della grande metropoli argentina e a quanti, nei diversi livelli della società, avevano dirette responsabilità negli ambiti del lavoro, dell’istruzione, dell’educazione, dell’assistenza e dell’aiuto ai più deboli e disagiati. Eletto Pontefice, lo sguardo di Francesco si è allargato all’intero Pianeta. I suoi appelli, le sue denunce e i suoi richiami sono, per loro natura, cattolici, ossia universali. Anche perché ormai, nelle logiche della globalizzazione, anche le problematiche sociali si sono globalizzate. Dunque, oggi, i suoi interlocutori – per quanto riguarda l’urgenza di determinate scelte politiche – sono tutte le nazioni, tutti i governi. Ma è chiaro che Papa Francesco parla poi ad ognuno di noi».

A oltre 10 anni dalla storica “denuncia” di Bergoglio, arcivescovo di Buenos Aires – Una società che esclude è, in realtà, una società potenzialmente nemica di tutti – cos’è cambiato?
«Se guardiamo all’evoluzione – o all’involuzione – di determinati fatti e di specifiche tendenze, come i drammatici fenomeni connessi con l’emigrazione, sembra che quella potente riflessione, lanciata a Buenos Aires all’inizio della Quaresima, sia rimasta appunto nei limiti geografici dell’Argentina. Oggi, i richiami di Jorge Mario Bergoglio nel suo ruolo di Pontefice, vanno oltre Roma e le Mura leonine. E si fanno ascoltare. Volenti e nolenti. Non per niente, Francesco – lo dicono tutte le rilevazioni e i sondaggi di opinione internazionali – è riconosciuto come leader e voce autorevole. Non c’è presa di posizione che non faccia notizia e che provochi un dibattito, una riflessione, un pensiero almeno. I suoi gesti, anche clamorosi, lasciano sempre un segno. Penso al vibrante discorso al Parlamento Europeo. Ai richiami pronunciati davanti ai governanti dell’Africa, dell’America Latina, delle Filippine, dello Sri Lanka, dell’Armenia, della Turchia o davanti allo stesso Congresso degli Stati Uniti d’America. Si pensi al potente effetto innescato da una enciclica come la Laudato sì. Sicuramente, egli è la guida che, in diverse aree del mondo, sta promuovendo e aiutando processi di crescita, culturale, umana, economica. La sua voce dà forza agli stessi leaders che sono impegnati in campo sociale affinché nessuno resti indietro».

È sbagliato dire che Papa Francesco ha totalmente fondato l’attuale dottrina sociale della Chiesa sulle parole “Dignità” (della persona umana) e in particolare “Dignità del lavoro”?
«No. “Dignità” è una delle parole che stanno qualificando il Pontificato di Francesco. La implora e la reclama, in ogni ambito, soprattutto in quello del lavoro. Ricordo che a Cagliari, nel suo secondo viaggio in Italia dopo l’elezione, incontrando disoccupati e cassa integrati affermò che «non portare il pane a casa vuol dire non avere dignità». Parole che suonano drammaticamente attuali: nel Rapporto Istat 2016 si legge che in Italia sono 2 milioni 200 mila le famiglie che vivono senza redditi da lavoro. A Torino, nel 2015 – davanti ad imprenditori, lavoratori, artigiani, sindacati, precari, disoccupati – pronunciò parole che sono ancora di grande attualità, non solo per la città sabauda, fortemente provata dalla crisi economica e sociale. Papa Francesco disse che «siamo chiamati a ribadire il ‘no’» a un’economia dello scarto, che chiede di rassegnarsi all’esclusione di coloro che vivono in povertà assoluta… Siamo chiamati a ribadire il ‘no’ «all’idolatria del denaro, che spinge ad entrare a tutti i costi nel numero dei pochi che, malgrado la crisi, si arricchiscono, senza curarsi dei tanti che si impoveriscono, a volte fino alla fame».

Perché sono temi così cari a Francesco?
«Perché li ha vissuti e sperimentati, sulla propria pelle, in prima persona, nella sua famiglia. Francesco è figlio di emigranti che, dopo le difficoltà dell’integrazione, vissero i problemi economici nell’Argentina dello scorso secolo. La grande crisi del 1929-30 gettò sul lastrico i suoi familiari, i suoi nonni e zii. Il drammatico “default” argentino del 2000-2002 trascinò nel baratro centinaia di migliaia di persone. Jorge Mario Bergoglio ha visto e vissuto tutto questo. Nella sofferenza condivisa per tanti episodi di ingiustizia e di esclusione sociali – nel libro, ad esempio, ho ricostruito le vicende della strage ferroviaria dell’Once, del massacro di quasi 200 giovani nella discoteca Cromañón , delle vittime del lavoro-schiavo e della criminalità collegata al racket delle persone e allo sfruttamento minorile in circa 3.000 fabbriche tessili abusive – nasce, si muove e si eleva il grido dell’arcivescovo Bergoglio affinché nessuno calpesti la dignità di ogni essere umano».

“Francisnomics”, curioso neologismo anglosassone, che vuol dire…?
«Papa Bergoglio, oltre ad essere un «comunicatore naturale», sta influenzando anche il vocabolario internazionale. Nel mondo anglosassone gira questo neologismo ispirato al suo modo di pensare gli equilibri del nostro Pianeta. «Francisnomics» – ossia, un modello economico secondo Francesco – fa riferimento ad una visione di sviluppo economico, sociale e culturale che, attraverso «il lavoro libero, creativo, partecipativo e solidale – come disse incontrando le Acli (maggio 2015) – possa portare l’essere umano ad esprimere e ad accrescere la dignità della propria vita». E’ il modello di un «nuovo umanesimo del lavoro, dove l’uomo, e non il profitto, sia al centro; dove l’economia serva l’uomo e non si serva dell’uomo».

Hai conosciuto il Papa da “vicino”. Hai potuto parlargli e guardarlo negli occhi. Cosa pensavi in quei momenti e cosa ti ha colpito di lui?
«Sono momenti che definire “speciali” è ancora poco. Mi porto ancora nel cuore le scene della prima volta, di quando gli donai i primi due volumi di “Francesco” (editi da Velar), in Casa Santa Marta, nella Città del Vaticano. Un mezzogiorno indimenticabile. Nel vedermi, Papa Francesco notò che avevo un occhio un po’ gonfio. Gli riferii che si trattava di un orzaiolo, forse causato dallo stress per la redazione dell’opera… Lui, simpaticamente, mi consigliò un rimedio tradizionale, che in Argentina era stato tramandato dai suoi nonni. Sorridendo, mi disse: “Prendi la fede nuziale che porti al dito, baciala e strofinala per tre volte sulla palpebra. Lo facevano anche i miei nonni. Vedrai che passerà! Grandissimo! E io che mi aspettavo mi chiedesse chissà che cosa! Ma più che parlare, egli ascoltava, osservava. Comunicava con gli occhi. Compresi che egli stava aspettando qualche notizia da parte mia. Gli riferii di come avevo lavorato sulla biografia, sui mesi passati tra le ricerche e la raccolta delle testimonianze. Il Santo Padre sfogliava le pagine con commozione, ammirando le foto dei luoghi della capitale argentina. Mi è parso di cogliere un po’ di nostalgia in lui. Mentre sfogliava, egli ripeteva “Grazie, grazie”, aggiungendo “che questo libro lo meritano soltanto i santi”. Simpaticamente si prestò anche a qualche “selfies”. Mi colpì molto quando prese con sé i volumi, li strinse al cuore, come in un abbraccio. Il collega di Radio Vaticana, Orazio Coclite, mi riferì poi che Papa Francesco volle inviare una copia dell’opera alla sorella Maria Elena, in Argentina. Un gesto bellissimo, che non ha bisogno di commenti».