Non sempre dai numeri si può dedurre una sola verità. Se è vero che la crisi economica sembra alle spalle, c’è un’altra crisi, quella occupazionale, che non sembra avere una via d’uscita e flagella migliaia di persone e soprattutto tantissimi giovani. Come si può uscire da questa situazione di stallo e, soprattutto, cosa si può fare per rendere Bari e la sua area metropolitana attraente agli occhi delle imprese? Lo abbiamo chiesto a Giuseppe Boccuzzi, segretario generale della Cisl Bari.

Giuseppe Boccuzzi, qual è la fotografia della situazione occupazionale a Bari e provincia?

“Parliamo di una emergenza sociale e politica che non può essere sottaciuta. Negli ultimi anni il tasso disoccupazione è più che raddoppiato ed è attualmente al 19%: più della metà (il 55%) sono giovani. Probabilmente non basteranno i prossimi 10 anni per recuperare. Ma il tasso di disoccupazione non basta per descrivere il dramma che colpisce tutta la nostra terra: c’è un’ampia fascia di popolazione che ha perso fiducia e non cerca più un’occupazione: di circa 880mila persone in età lavorativa, ben 330mila non cercano e non hanno reddito. Tantissimi sono giovani”.

La disoccupazione giovanile è il vero problema. Le misure messe in campo fino ad ora bastano per combattere questa piaga?

“Le misure tampone non servono, l’unico risultato prodotto dalle istituzioni sono i tirocini o i cantieri di cittadinanza che rappresentano solo di una pia illusione e non bastano a costruire un percorso di lavoro stabile. Attualmente viviamo un paradosso: in provincia di Bari in 1 caso su 4 le aziende non riescono a soddisfare le proprie richieste lavorative, significa che esiste un gap tra ciò che le imprese cercano e quello che noi possiamo offrire. Si è creato un tirocinificio fine a se stesso”.

Quale potrebbe essere la ricetta per superare questa impasse?

“In primis bisogna fare un’analisi del territorio, anche grazie alla banca dati Excelsior, creare un collegamento con le aziende che vogliono davvero assumere, e preparare i giovani. Penso all’alternanza scuola lavoro: è necessario valorizzare questi 3 anni, orientando, profilando, formando e se possibile specializzando i ragazzi. Ci sono sgravi per assumere quindi le imprese non hanno scuse, ma servono lavoratori pronti per i nuovi processi lavoratori, negli ambiti più avanzati e tecnologici”.

Allargando lo sguardo alle opportunità lavorative all’area metropolitana, il quadro non è certo roseo tra vertenze e chiusure.

“Se pensiamo che il lavoro possa arrivare solo dalle aziende già sul territorio siamo sulla strada sbagliata. Il 95% delle aziende baresi sono realtà di piccole o piccolissime dimensioni mentre è scomparsa la media-grande impresa. Sono almeno 20 anni, dai tempo di Bridgestone e Bosch, che mancano i grandi investimenti”.

Cosa si può fare quindi per attrarre i grandi colossi esteri?

“Esiste una grande opportunità offerta dalle cosiddette zone economiche speciali (Zes): questo è l’ultimo treno che possiamo agganciare per dare una svolta. Le faccio solo un esempio: Tangeri, che non è la Silicon Valley, in pochi anni ha creato un distretto industriale attraendo centinaia e centinaia di aziende. Ma esempi simili li possiamo trovare anche in Italia, a Imola o Rieti. Adesso anche noi abbiamo una grande opportunità con una pioggia di 2 miliardi di euro in 5 anni che arriveranno grazie al patto per la città metropolitana e i bandi per la riqualificazione delle periferie”.

Queste risorse, però, bisogna sfruttarle bene. Come?

“I grandi operatori commerciali stanno costruendo strutture logistiche in giro per il mondo, ma cercano infrastrutture efficienti, agevolazioni fiscali, semplicità burocratica. È necessario quindi lavorare sulle grandi infrastrutture, soprattutto i trasporti, far partire i cantieri e portarli a termine in tempi ragionevoli. Bisogna fare poi un grande lavoro di marketing smettendola di pubblicizzare solo panzerotti e orecchiette anche negli incontri istituzionali, promuovendo le potenzialità dell’area metropolitana barese e i vantaggi che le imprese possono trovare sul nostro territorio”.