La Dda di Bari ha chiesto 9 condanne a pene comprese tra i 7 anni e 6 mesi e i 3 anni di reclusione per altrettanti imputati, vicini al clan Capriati di Bari, nel processo su estorsioni a commercianti, falso e truffa ai danni della società Ariete che gestiva i servizi nel porto.

In particolare Sabino Capriati, figlio del boss Filippo, si sarebbe in più occasioni assentato dal luogo di lavoro con la complicità dei sodali Vito Genchi e Giovanni Rossini. Tutti e tre ora rischiano la condanna a 3 anni di reclusione.

Stando alle indagini della Polizia, coordinate dal pm Fabio Buquicchio, il clan aveva assunto di fatto il controllo del servizio di assistenza e viabilità all’interno del porto di Bari, potendo contare su dipendenti compiacenti.

Tra gli imputati c’è anche un ex funzionario dell’Agenzia delle Entrate, Emanuele Pastoressa, che rischia 3 anni di reclusione, accusato di concorso in estorsione per aver prospettato una verifica fiscale ad un imprenditore se non avesse pagato 50 mila euro al clan. Chiesti 7 anni di reclusione per Nunzia Loseto, accusata di estorsione ad un commerciante.

Infine per detenzione e spaccio di droga, la Procura ha chiesto quattro condanne per i pregiudicati Mario Ferrante (7 anni e 6 mesi), Carmelo Recchia (7 anni), Vito Antonio Cutrofo (6 anni) e Fabio Colasante (3 anni). Si tornerà in aula il 7 luglio per le arringhe difensive.

Nell’ambito dello stesso procedimento sono già stati condannati in primo grado con il rito abbreviato altri 24 imputati, tra i quali il boss Filippo Capriati, nipote dello storico capo clan Antonio.