Praticamente una bolla di sapone, tra prescrizioni, fatti ormai dimenticati, quarantatre non luogo a procedere a persone accusate a vario titolo di associazione a delinquere, concussione, corruzione, abuso di ufficio e peculato, e poi cinque anni di udienze. Il processo “Caro estinto” si è risolto con tredici anni complessivi di condanne per cinque soli imputati. Tre anni a testa per Antonio Di Cosola, il boss “pentito”, che secondo l’accusa avrebbe coordinato presunte tangenti sui funerali; Rosa Porcelli, titolare di un’agenzia di onoranze funebri; Pellegrino Labellarte, ritenuto dagli inquirenti il mediatore tra Di Cosola e alcuni infermieri in servizio all’obitorio dell’ospedale “Di Venere” di Carbonara. Per Labellarte l’accusa è concorso in estorsione aggravata dal metodo mafioso.

Attenuanti per il comportamento processuale sono state concesse all’ex boss Di Cosola. Condannati con l’accusa di peculato a due anni Francesco Perrini e Francesco Lattanzi, che all’epoca dei fatti erano in servizio come infermieri al Policlinico di Bari.