Davide Cerullo ce l’ha fatta, è una di quelle persone che a un certo punto della vita riescono a dare una svolta radicale e a rimettersi in carreggiata. Cresciuto alle Vele di Scampia, in piena ascesa di una carriera criminale, tanto da aver subito anche un agguato, un bel giorno ha detto basta e ha ricominciato tutto da capo. Oggi ha una vita normale e un lavoro onesto che gli permette di mantenere la famiglia. Ha deciso di parlare a quei bambini di Scampia che conosce molto bene, per dire loro che una possibilità c’è sempre. Ali Bruciate, il libro che ha scritto con don Alessandro Pronzato (sacerdote, giornalista, scrittore e professore), parla proprio di loro, perché Scampia non è solo degrado e criminalità. Qualche giorno fa Davide Cerullo era ad Adelfia, nella Parrocchia dell’Immacolata. Lo abbiamo intervistato.

La fortuna è cieca ma la sfiga ci vede benissimo. Nascere a Scampia, alle Vele, non è certo una scelta. Te la senti di biasimare chi decide di andar via?
«Se dobbiamo parlare di andar via dobbiamo parlare del problema italiano. L’Italia in generale ha una fame di lavoro che fa paura, Napoli e Scampia ancora di più. È fame di possibilità di riscatto, di futuro. Parlare di futuro qua è una bestemmia, ci credono in pochi, e questo scoraggia. A prescindere dalla criminalità organizzata, dalla disuguaglianza sociale, qualcuno è disposto ad andare via, però non dovrebbe essere così. Molte mamme non vorrebbero far crescere qui i loro figli, perché se è vero che un bambino è il luogo che vive, immagina cosa può essere un bambino che vive in un luogo come Scampia. Il crimine più grosso che si possa commettere contro l’umanità è non dare a un bambino la possibilità di essere un bambino».

Abbracciare la vita criminale come via di fuga dalla povertà, anche il dolore è più sopportabile con la pancia piena. Cosa si risponde a un bambino che delinque, ad esempio per curare la madre malata, o più semplicemente per non “mettersi contro qualcuno”?
«C’è troppa gente che affida la propria vita, la propria dignità, la propria libertà, ma anche la propria identità, a questa gente, per motivi di povertà. La criminalità organizzata ti fa il funerale se ti muore un parente e non hai possibilità di pagare, ti fa la spesa, ti rifà la cucina nuova. È ovvio che c’è un contraccambio, il guadagno della genuflessione difronte a questo potere. Oggi la criminalità organizzata continua a garantire un supporto economico alle famiglie finanziariamente deboli, ti dà come favore ciò che lo Stato ti dovrebbe garantire come diritto. Quella non è camorra che abbassa la testa, è povera gente, è fame, ma lo Stato lo sa questo. Grazie a questa povera gente, una piazza di spaccio può arrivare a 12 milioni di euro l’anno, un piatto che fa gola a tutti, anche a quella criminalità organizzata che è legalizzata, i colletti bianchi, la corruzione. Il mafioso non è il gruppetto da quattro soldi, il mafioso sta in ben altre assemblee. Il camorrista è il banchiere, sta in parlamento, questo è il problema. Scampia, le scampie del mondo, è un sistema voluto, costruito, sottaciuto, accettato, deve andare così e fa gola a tutti, perché fa cassa. I bambini fanno cassa alla malavita e la malavita fa cassa allo Stato».

Nel bene e nel male, il complesso delle Vele c’è, nessuno può più dire “non lo sapevo”. È successo qualcosa da quando la così detta società civile ha “aperto gli occhi” ? Da fuori non si direbbe…
«Per quanto riguarda le mafie, la camorra, la criminalità organizzata, la gente è molto più coraggiosa, è soprattutto più cosciente sul fatto che le mafie siano qualcosa di disgustoso, che ti toglie il futuro, che uccide l’infanzia…ha ucciso i migliori uomini dello Stato, quelli che lo servivano veramente. Molte persone hanno aperto gli occhi, hanno alzato la testa, stanno avendo coraggio. Coraggio che costa, perché è facile essere coraggiosi di un coraggio che non costa niente. Tante persone sono sotto scorta per questo, però ci sono tante persone che non vanno sui giornali, che non hanno la scorta, che non vanno in televisione e abitano in questi territori e fanno delle cose eccezionali, persone di grande equilibrio, di grande umanità. Per onorare il coraggio di queste persone morte per mafia, per il coraggio di quelli che sono rimasti e che stanno facendo delle cose coraggiose, che sono da imitare e da ammirare, per tutto questo la gente non può più tacere. In questo senso qualcosa è cambiato».

Ali bruciate è stato pubblicato già da qualche anno, lo hai presentato a centinaia di persone. C’è un episodio oppure qualcuno in particolare che ti è rimasto impresso?
«In tutti gli incontri che ho fatto, ho ritrovato il senso dello stupore nelle persone di fronte alle cose belle della vita. Ali bruciate indica un po’ una speranza e lo fa con una certa passione. È un po’ la possibilità del riscatto, del riprovarci ancora, di trovare un po’ di speranza. Presentando Ali bruciate, ho visto tanti che si sono accostati, mi hanno chiesto se potevano darmi un abbraccio, se mi potevano stringere la mano, mi ringraziavano, molti piangevano perché si sono identificati in questa possibilità di riscatto, di poter vedere la vita da un’angolazione diversa. Parlare alle persone è un po’ come giurare a me stesso di essere vero e loro contraccambiano con la stessa promessa, che da lì in avanti non possono più far finta di niente Ogni incontro è come una continua trasformazione».

Hai scritto il libro per parlare con i bambini di Scampia: ci sei riuscito?
«In parte forse sì. In certi territori si deve tener conto di non poter riuscire, si deve tener conto di giocare un po’ a sorte, non sai mai se la cosa riesce. Quindi si prova, l’importante è provare a seminare delle domande e a quelle domande dare delle risposte urgenti e importanti».

Quanto pesa nei rapporti con gli altri l’essere visto come un esempio e doverlo essere continuamente?
«È una fatica, perché noi siamo in continua evoluzione, il cambiamento o la conversione è qualcosa che avviene giorno per giorno, tutti i giorni si muore un po’ a se stessi per essere migliori. D’altro canto sono un po’ una provocazione, un obbligo a pensare, per quelli che stanno in certe situazioni. In parte ti ammirano, perché hai avuto il coraggio di dare un taglio, di avere un cambiamento per te e sei una provocazione per loro, sei una possibilità di cambiamento anche per loro. Certi ti ammirano, certi vorrebbero che neanche esistessi, per non avere in corpo questa provocazione. Per non sentirsi dire che io non sono un camorrista, non guadagno gli stessi soldi di un camorrista, ma sono felice. Questa è una grande e buona provocazione».