Infatti, già la stessa definizione di matrimonio omosessuale è una contraddizione in termini ed un controsenso biologico, perché lo stesso vocabolo matrimonio rimanda immediatamente a quello di maternità, e quindi anche immancabilmente a quello di paternità.
Eppure, almeno apparentemente in contrasto con l’articolo 29 della nostra Costituzione, in cui si fa esplicito riferimento alla famiglia quale “società naturale”, vi sono state alcune recenti pronunce della magistratura al riguardo. Una è stata la sentenza 4148 della Cassazione del 15 marzo 2012 che, pur non accogliendo la trascrizione in Italia di un matrimonio contratto da due uomini all’estero a causa di una carenza legislativa in merito a simili eventualità, ha auspicato che si possa giungere ad un “trattamento omogeneo” tra coppie eterosessuali ed omosessuali. Ciò però, è bene notarlo, non equivale automaticamente a parlare di matrimonio, quanto piuttosto di una discutibile ed accettabile forma di convivenza civile, riconosciuta e finanche tutelata legalmente, per tutti coloro che, indipendentemente dal loro sesso, desiderino condividere i propri giorni con la persona più amata; ma in ogni caso non si può parlare di matrimonio.
Un’altra sentenza della Cassazione intimamente legata ai dibattiti che stanno animando in questi giorni i parlamenti europei è stata la numero 601 del 2013, concernente l’affidamento esclusivo di un minore alla madre ex tossicodipendente convivente con una ex educatrice della comunità di recupero in cui era stata ospitata. Nelle motivazioni addotte dal collegio giudicante si può leggere che il ricorso del padre appellante è inammissibile perché “dalla sintesi del motivo di gravame non risulta alcuna specificazione delle ripercussioni negative, sul piano educativo e della crescita del bambino, dell’ambiente familiare in cui questi viveva presso la madre”, sicché è possibile affidare in via esclusiva un ragazzino ad una coppia omosessuale. Verrebbe però da replicare subito ed in maniera ovvia con motivi altrettanto ovvi ad una argomentazione del genere che si o ad ora non è mai potuta esistere alcuna evidenza empirica nemmeno circa eventuali ripercussioni positive sull’educazione e la formazione di un infante vissuto all’interno di un ambiente familiare non eterosessuale.
Vieppiù è legittimo anche fare un’ulteriore semplice considerazione di carattere giusnaturalistico: la famiglia può dirsi davvero tale se e solo se si concreta nello scopo di procreare, di mettere al mondo una prole, di donare e perpetuare la vita. Discorso diverso è se si riesca o meno a realizzare un simile scopo.
Infine basti un’ultima riflessione così elementare quanto veridica: una società che non preferisca o addirittura rinunci all’eterosessualità si condanna da sé all’annientamento, al suicidio. Perché non è possibile andare contro quanto è stato decretato per tutti noi come fondamento irrinunciabile della nostra esistenza, la quale muore dell’armonia degli opposti e vive del loro contrasto.
Dunque, nel pieno rispetto delle diversità e della libertà di amare ed essere amati, lasciando perdere quanto accade all’estero, mettiamo da parte tutte le polemiche sterili ed inutili che tanto piacciono a noi italiani, specie in campagna elettorale, e difendiamo la famiglia, senza se e senza ma! E cominciamo a farlo chiedendo le dovute garanzie a tutti gli appartenenti ai tre poteri su cui si regge la nostra democrazia.

Pierpaolo Favia