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“Siamo costretti a scegliere chi curare e chi no, come in ogni situazione di guerra”. Con l’aumento di casi di contagio da Coronavirus i medici che operano nelle zone rosse sono chiamate a fare una scelta, un modus operandi che viene fuori adesso dall’intervista rilasciata al Corriere della Sera da parte di Christian Salaroli, dirigente medico, anestesista rianimatore dell’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo.

Dalle parole del medico viene fuori una triste verità. “Durante il triage avviene la scelta. I pazienti con la polmonite da Covid-19 vengono messi in ventilazione non invasiva. Dopo di che il rianimatore passa nel Pemaf (Piano di emergenza per il maxi-afflusso) nel quale in base alle caratteristiche del paziente, quali età e quadro generale, viene valutata la capacità di guarigione” racconta Salaroli al Corriere.

“Questa indotta dal Covid-19 è una polmonite interstiziale, una forma molto aggressiva che impatta tanto sull’ossigenazione del sangue. I pazienti più colpiti diventano ipossici, ovvero non hanno più quantità sufficienti di ossigeno nell’organismo. Nel giro di un paio di giorni – continua – la ventilazione non invasiva non è più sufficiente e i pazienti devono essere intubati, ma essendoci scarsità di posti letto in terapia intensiva, deve essere fatta la scelta”.

“Per consuetudine – spiega il medico – anche se mi rendo conto che è una brutta parola, si valutano con molta attenzione i pazienti con gravi patologie cardiorespiratorie, e le persone con problemi gravi alle coronarie, perché tollerano male l’ipossia acuta e hanno poche probabilità di sopravvivere alla fase critica. Se una persona tra gli 80 e i 95 anni ha una grave insufficienza respiratoria, verosimilmente non si procede. Se ha una insufficienza multi organica di più di tre organi vitali, significa che ha un tasso di mortalità del cento per cento. Ormai è andato. È una frase terribile, ma la realtà è che li dobbiamo lasciare andare. Non siamo in condizione di tentare quelli che si chiamano miracoli. È la realtà”

“Quando dicono che alcune morti non sono dovute al coronavirus è una bugia che mi amareggia – spiega al giornalista del Corrierie-. Muoiono di Covid-19, perché nella sua forma critica la polmonite interstiziale incide su problemi respiratori pregressi, e il malato non riesce più a sopportare questa situazione. Il decesso è causato dal virus, non da altro”.

Una situazione non facile da sopportare per tutti, sia per i primari che per i ragazzi appena arrivati nel mondo del lavoro che ogni mattina sono chiamati a fare da arbitri della vita di una persona.

“Il consiglio che voglio dare a tutti è quello di restare a casa. La miglior risposta a questo virus è rimanere a casa. Vedo troppa gente in giro. Voi non immaginate cosa succede qui dentro. Tutti fanno tutto, medici di ambulanza finiscono in corsia e viceversa. In questo momento – continua il medico – il diritto alla cura è minacciato dal fatto che il sistema non è in grado di farsi carico dell’ordinario e dello straordinario al tempo stesso. Così le cure standard possono avere ritardi anche gravi”.

“In questo momento storico – conclude Salaroli al Corriere – siamo chiamati a fare una scelta. Mi dico che è come per la chirurgia di guerra. Si cerca di salvare la pelle solo a chi ce la può fare. È quel che sta succedendo”.