Una comunicazione della Asld i Bari, inesatta in alcuni passaggi fondamentali, sta creando confusione tra i già confusi medici e panico tra gli inconsapevoli pazienti, convinti di non  essere più costretti a sopportare il dolore, in considerazione della Legge 38 del 15 marzo del 2010. La norma italiana – traguardo storico – che garantisce al cittadino il diritto di accesso alla “terapia del dolore” e alle “cure palliative”, organizzate in di due differenti percorsi.

Torniamo ad occuparci dell’Area Farmaceutica della Asl di Bari, diretta dalla dottoressa Angela Chielli, uno dei settori più arretrati d’Italia, che non solo non promuove l’utilizzo degli oppiacei, ma addirittura ne chiede esplicitamente un impiego ridotto. La stessa Area Farmaceutica a cui fa capo, per intenderci, la dottoressa che ci ha consegnato un oppiaceo senza prescrizione, come abbiamo documentato qualche settimana fa, oppure che mette a rischio i dati sensibili di migliaia di pazienti, nonostante due specialisti abbiano sentenziato la sua non idoneità al lavoro. Ma concentriamoci sul dolore adesso, che è tanto e purtroppo affligge tanta gente.

C’è una comunicazione, la numero 67986 del 6 aprile scorso, sull’impiego dei farmaci analgesici oppiacei, proprio a firma della dottoressa Chielli, che ha fatto sobbalzare dalla sedia buona parte della comunità scientifica italiana, che da anni si batte per assicurare ai pazienti una terapia del dolore appropriata, attraverso la somministrazione di farmaci adeguati e sempre sotto il costante monitoraggio dello specialista. Se la lettera fosse resa nota anche in altri Paesi, per esempio in America, Germania o Inghilterra, sarebbero indignati anche loro e gli italiani farebbero la solita figuraccia.

Stravolgendo in maniera incomprensibile quanto dichiarato dall’Agenzia Italiana del Farmaco, la Chielli scrive che: “…Alla luce di quanto descritto (aumento di farmaci oppiacei intendendo un’accezione negativa del consumo) si invita alla prescrizione e all’uso responsabile degli anti dolorifici oppiacei, al fine sempre di tutelare la salute del paziente”. La Chielli è davvero convinta in questo modo di tutelare la salute dei pazienti, andando contro decine e decine di accreditatissimi studi scientifici effettuati in ogni dove? Prima di scrivere abbiamo dovuto leggere e studiare molto e alla fine delle nostre verifiche, siamo in grado di tranquillizzare la dottoressa Chielli: gli oppiacei non solo non sono pericolosi, non solo non danno dipendenza psicologica nel paziente con dolore, non solo non fanno perdere controllo e lucidità a chi li prende, non solo sono raccomandati per la terapia del dolore dalle linee guida di Società Scientifiche di svariati Paesi al mondo, ma sono certamente meno dannosi degli antinfiammatori, verso cui non è fatto alcun cenno, che gli italiani e i pugliesi in particolare, continuano a consumare in quantità eccessive e che, in alcuni casi, possono essere davvero pericolosi per la vita di alcune categorie di pazienti.

In virtù del tenore della missiva della Chielli, medici e vertici della Asl ai quali è rivolta la comunicazione, sarebbero portati a credere che l’impiego degli oppiacei è pericoloso per i pazienti, in una Regione come la Puglia, in cui la spesa procapite per l’utilizzo di oppiacei è già la più bassa d’Italia e quindi d’Europa. Una regione che non tiene conto della legge 38 del 2010; delle indicazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, secondo cui: “Il consumo pro capite di morfina è un indicatore primario della qualità della terapia del dolore cronico da cancro”; ma soprattutto non tiene conto dell’ormai celeberrima nota 66 dell’Agenzia Italiana del Farmaco, quella che regola l’utilizzo degli antinfiammatori, vietatissimi in pazienti con patologie come l’ulcera, le malattie renali oppure cerebrovascolari, le cardiopatie o le allergie .

A differenza di quanto fatto da alcuni addetti ai lavori di tutta Italia, non vogliamo sollevare dubbi sull’attinenza medico-scientifica della comunicazione a firma del capo area Chielli, ma più in generale ci sembra bislacco non tenere in debito conto quanto previsto dal Governo italiano, da enti competenti, nazionali e internazionali. L’articolo 10 della legge 38, poi, semplifica le procedure di accesso ai medicinali impiegati nella terapia del dolore cronico, che in Italia affligge 8 milioni di persone, con un costo complessivo di circa 36,4 miliardi di euro (2,1% del PIL). Semplificazione che nel corso degli anni si è tradotta nella possibilità garantita al medico di medicina generale, di prescrivere l’oppiaceo attraverso la tradizionale “ricetta rossa” del Sistema Sanitario Nazionale.

Il Ministero della Salute, all’indomani dell’introduzione della legge, registrava: “…dati incoraggianti sull’aumento dell’impiego degli analgesici oppiacei nella terapia del dolore. Tale tendenza è confermata nel 2011, per il quale si registra un incremento decisamente apprezzabile”. E l’AIFA conferma l’incremento delle prescrizioni per il 2013nell’ambito del percorso intrapreso dall’Italia a tutela del diritto del cittadino di accedere alle cure palliative e terapia del dolore” . Nel resto d’Italia un incremento graduale e continuo. In Puglia, invece, che resta maglia nera, siamo allo stato primordiale nonostante siano passati ormai sei anni dall’approvazione della Legge.

Se il problema della Asl di Bari è il contenimento dei costi, la Chielli sta sbagliando tutto. In Italia la spesa procapite media nel consumo di oppiacei è di 2,11 euro contro i 10 della Germania (dati 2013), mentre quella per gli antinfiammatori è di 3,83 euro contro 1,82 euro del Regno Unito. Sapete quanti antinfiammatori si consumano in Puglia? Bene, ogni giorno viene utilizzata una quantità pari a quella impiegata contemporaneamente nelle regioni Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna e Veneto. Quattro milioni di abitanti ne consumano quanto occorrono a undici milioni di persone. Secondo il rapporto OsMed 2013, in Italia la media degli antinfiammatori è 23,7 dosi giornaliere ogni mille abitanti. In Puglia si sale al 40,6. In Lombardia è 13,7. Roba da pazzi.

Al contrario, sempre secondo l’OsMed, in Italia il consumo dei farmaci per la terapia del dolore, compresi gli antiepilettici che non sono oppiacei, è di 7,3 DDD su mille abitanti. Anche in questo caso, con un 5,8 ogni mille abitanti, la Puglia è tra le peggiori e comunque sotto la non già invidiabile media nazionale. Un numero rimasto invariato tra il 2013 e il 2014. Ciò che sconvolge è l’approssimazione della comunicazione inviata a medici e dirigenti della Asl, probabilmente ignari del senso di ciò che leggono. Le domande, anche in questo caso sono abbastanza banali. Chi controlla i controllori? E i dirigenti sono davvero così competenti? Quanto ne sanno i medici ingiustamente terrorizzati dall’impiego degli oppiacei nella terapia del dolore? Quanto si conosce la Legge 38? Non è giusto far patire le pene dell’inferno dopo un intervento chirurgico, un dolore cronico alla schiena, un parto particolarmente complicato, un piede maciullato in seguito a un incidente stradale, solo per l’incompetenza e la demonizzazione di una terapia incoraggiata in gran parte del mondo, anche nei Paesi che non hanno una legge specifica, seppur praticamente inattuata, come in Italia.

Facciamo un gioco. Requisiamo tutte le cartelle cliniche degli ospedali, concentrandoci su quelli baresi, e proviamo a capire quante di queste includono l’obbigatoria presenza della valutazione dell’intensità del dolore del paziente. L’articolo 7 della benedetta Legge 38, infatti, prevede che i meidici e gli infermieri in tutte le cartelle riportino la misurazione del dolore e poi la scelta di un antidolorifico secondo la scala del dolore dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, con tre gradini differenti: dolore lieve da 1 a 3, con la scelta di alcuni farmaci; dolore moderato-severo da 4 a 6 e da 7 a 10, con la scelta di un farmaco oppiaceo a dosi personalizzate per patologia e caratteristiche del paziente, ovviamente sotto attento monitoraggio.

Nella maggior parte dei casi la misurazione del dolore non avviene e meno che mai l’obbligatoria valutazione del sollievo dopo la cura. Torneremo sull’argomento, dimostrando in maniera inconfutabile, che la demonizzazione degli oppiacei, verso il cui utilizzo si sono schierati importanti personalità scientifiche e intere associazioni mediche di fama planetaria, è un atteggiamento arretrato e colpevole. Gli oppiacei rappresentano un tassello economicamente trascurabile di una spesa farmaceutica ormai fuori controllo, probabilmente anche per colpa di indicazioni immotivate come quelle fornite dal capo dell’Area Farmaceutica della Asl di Bari. Parliamo di farmaci che danno grande sollievo a persone la cui vita è gravemente compromessa dal dolore, vera e propria malattia in molti casi invalidante, con un costo eccessivo per le casse nazonali.